Se solo alcuni giovani ci manifestassero la loro indifferenza per l'arte, per quelle pitture e sculture che a noi sembrano meravigliose e inevitabili, dovremmo trattenere la nostra indignazione, pensando a quanti, non ignoranti ma letteratissimi, hanno condiviso la stessa indifferenza. Il pensiero va naturalmente al filosofo dell'estetica a cui tanto dobbiamo: Benedetto Croce. Ma può addirittura apparire clamoroso che lo confermi, con assoluta chiarezza, Giacomo Leopardi. Nello Zibaldone leggiamo: «L'arte non può mai eguagliare la ricchezza della natura» ... «la natura insomma è la sola potente, e l'arte non solo non l'aiuta, ma spesso la nega». In tutto lo Zibaldone non c'è una sola osservazione su Raffaello o Michelangelo. Ma neppure su quanto Leopardi aveva a portata di occhi nelle chiese di Recanati. Dipinti e affreschi di un pittore che gli era singolarmente affine: Lorenzo Lotto. Negli anni di Leopardi, il pittore era stato completamente dimenticato, e se mai il suo sguardo avesse incrociato opere che oggi ci parlano con commovente eloquenza, come l'«Annunciazione», ci potremmo chiedere perché il sensibilissimo poeta non abbia avuto un sussulto.
Eppure a guardare il «Ritratto di giovane» dell'Accademia di Venezia di Lorenzo Lotto, sembra di aver di fronte il giovane Leopardi, e l'affinità delle loro anime è evidente. Non fu così. Oggi, a Recanati, ho voluto stabilire fra i due un dialogo impossibile. Ed è Lotto a parlare per Leopardi definendosi: «Solo, senza fidel governo et molto inquieto della mente».
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