Questa è la storia di una redenzione. "Facebook rappresenta una grave minaccia per la democrazia. L’individuo è sotto attacco", fa sapere Roger McNamee. Cosa hanno in comune La compagnia britannica delle indie orientali e Facebook? Il monopolio. Che ovviamente non è sinonimo di mercato. È in uscita a ottobre, in Italia, per la casa editrice Nutrimenti, un libro rivelazione sul colosso di Menlo Park e sulle altre big companies della tecnologia made in Usa. Si chiama “Zucked” ed è scritto proprio da McNamee, uno dei primi e maggiori finanziatori di Facebook. Un venture capitalist della Silicon Valley che decide di “dare di matto” e denunciare tutto ciò che c’è di oscuro dietro al mondo social.
Nel saggio racconta non solo l’ascesa della piattaforma, ma anche la figura del suo leader e tutto quanto si sviluppa al di là della facciata e gli slogan sulla connessione globale. Il libro racconta i retroscena legati ai big data (che hanno avuto nello scandalo Cambridge Analytica la massima risonanza per il pubblico) e più in generale al business delle informazioni dei grandi di Internet. Si tratta di una lucida denuncia della recente, pericolosa deriva del più diffuso e influente social network del mondo. Un’analisi dettagliata e approfondita che ripercorre la storia dell’azienda e del suo giovane leader, portando allo scoperto i gravi rischi a cui il social network espone i suoi quasi due miliardi di utenti.
"Da molto tempo sono un investitore e uno strenuo sostenitore dell’industria tecnologica", scrive McNamee. "Per me la tecnologia è stata un lavoro e una passione, ma nel 2016 mi stavo ormai allontanando dalla professione di investitore full time e iniziavo a pensare alla pensione. Ero stato uno dei primi consiglieri del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg (Zuck, per molti amici e colleghi) e uno dei primi ad aver investito in Facebook. Per un decennio ci ho creduto davvero. Ancora oggi ne possiedo delle azioni. Se consideriamo esclusivamente il mio interesse personale, non avrei avuto alcun motivo di mettermi contro la società e certo non avrei mai immaginato di diventare un militante anti Facebook".
All’inizio del 2016 il nostro McNamee ha iniziato a osservare che su quel social accadevano cose che non gli sembravano più giuste. Ha tirato quel filo e ha svelato una catastrofe. All’inizio era convinto che Facebook fosse una vittima e voleva semplicemente mettere in guardia i suoi amici. Quello che ha scoperto nei mesi a venire lo ha scioccato e deluso: la sua fiducia era stata mal riposta. Questo libro, in soldoni, racconta perché Facebook sia pericoloso per l’America.
E qui entra in ballo un’analisi di sistema. Qui si gioca la partita delle partite. Attaccare Zuckerberg significa denunciare lo strapotere delle big companies della California. Denunciare in particolare il potere sfrenato di cui godono. Qualcosa che si consuma in un attacco al capitalismo. Perché senza concorrenza e senza competizione, non c’è mercato. Stesso discorso, identico, si sviluppa quando è lo Stato a minacciare il libero scambio. Così accade per un’azienda che opera in un regime di monopolio. Google, come Facebook, ti regalano servizi. In cambio però chiedono la tua vita, i tuoi dati. La tua privacy. E in questi casi, l’utente medio, non può proprio farci nulla.
Ma facciamo un passo indietro: 1600. Nasce la Compagnia Britannica delle Indie Orientali (British East India Company). La regina Elisabetta I d’Inghilterra accorda una “carta” o patente reale che le conferisce per 21 anni il monopolio del commercio nell’Oceano Indiano. Nel 1670 il re Carlo II accorda per decreto alla Compagnia il diritto di acquisire nuovi territori, di battere moneta, di comandare delle truppe armate e di esercitare la giustizia sui propri territori. Si avviava quindi a divenire una formidabile macchina di potere, non solo in India ma anche in Inghilterra.
Vi dice nulla? Facebook rischia di fare lo stesso. Guardate ad esempio Lybra, la criptovaluta che darebbe al social di Menlo Park uno strapotere su tutto il mondo, quasi quanto un vero e proprio Stato. Stanco del lobbismo politico e al fine di ridurre questa enorme influenza della compagnia, il Parlamento inglese decide qualche anno dopo di rompere il monopolio della Compagnia e di permettere la creazione di una compagnia rivale, la Compagnia Inglese per il Commercio verso le Indie Orientali (English Company Trading to the East Indies). Esattamente ciò che gli Stati “potremmo definire classici” dovrebbero fare con Facebook. Magari sotto l’influsso di una riforma dettata dall’antitrust.
Il resto è storia. La Compagnia Inglese per il Commercio verso le Indie Orientali non sarebbe mai riuscita a competere con la “vecchia” Compagnia e questo tentativo di aumentare la concorrenza ha fine quando le due società si fondono nel 1702. Ma non tutto è perduto. Nel 1813 La compagnia delle indie orientali viene privata del suo monopolio commerciale e nel 1858 perde infine le sue funzioni amministrative in seguito ai Moti indiani del 1857 (chiamati anche “Rivolta dei Sepoy”). Al principio dell’anno 1860 tutti i possedimenti della Compagnia passano sotto il controllo della Corona.
Il primo gennaio 1874 la Compagnia delle Indie Orientali viene sciolta per decreto regolare. Non auguriamo a Zuckerberg la stessa fine. "Ma qualcosa deve cambiare", ci ricorda McNamee. "O a farne le spese saranno esclusivamente gli ignari utenti della piattaforma più potente del mondo".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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