Che fine ha fatto la nouvelle droite e come interpreta la nostra epoca? Dico il movimento culturale nato a Parigi proprio nel 1968, con la fondazione di un istituto di ricerca, il Grece, e ramificatosi poi in mezza Europa nei decenni seguenti. E dico lepoca della crisi economica globale, con lavvento dei tecnici, il collasso della politica, e in Francia con le imminenti elezioni per lEliseo. Penso alle tracce sparse lungo questi anni, i numerosi libri e gli incontri, le riviste Eléments, Nouvelle École, Krisis. Di tutto questo il principale animatore è stato Alain de Benoist, in questi giorni in Italia, fra conferenze e tv. Ormai vicino ai 70 anni e agli 80 libri, De Benoist vive la strana solitudine del pensatore comunitario. Osserva da anni, appartato e attento, il travaglio della nostra epoca, isolato in una dignitosa marginalità. Non scende a compromessi perché «un uomo politico può dire il contrario di quel che pensa, perché la finalità del suo discorso è accedere al potere. Ma un intellettuale non può farlo, perché la sua opera è la sola cosa che resterà di lui». Da decenni subisce ostracismo in tutta Europa, talvolta perfino aggressioni. Qualche anno fa in Italia fu invitato a un convegno di liberal ma poi gli fu revocato linvito perché il liberal Andrè Glucsmann impose di eliminarlo: o me o lui. In età grave continua a suscitare scandalo culturale come a trentanni. Ma più frequenti sono i muri di omertà e le finzioni di inesistenza.
Due suoi nuovi libri giungono ora in Italia, curati entrambi da Giuseppe Giaccio. Uno è una lettura del nostro tempo, Sullorlo del baratro (Arianna, euro 9,80, pagg.182) che descrive leuro-fallimento del sistema finanziario. Laltro è una nuova, ponderosa raccolta di sue interviste, Il pensiero ribelle (Controcorrente, euro 30, pagg.445). De Benoist è una voce libera, inascoltata e acuta da più di quarantanni, con una multiforme cultura e sterminate letture. Il suo primo testo notevole fu Visto da destra, ma ha sparso opere rilevanti lungo i decenni. Tra i suoi iniziali compagni di strada, un italiano, corrispondente de Il Tempo da Parigi, Giorgio Locchi, che scrisse con lui Il Male Americano. Da noi un gruppo di giovani intellettuali italiani venuti dal neofascismo alla fine degli anni 70 dette vita nel suo solco alla nuova destra. Pur nel suo percorso singolare, De Benoist in Francia ha trovato interlocutori venuti da altri mondi: da Alain Caillé e la scuola antiutilitarista a Serge Latouche, da Louis Pauwels agli ex-gauchiste Jean Cau e Regis Débray al sociologo Michel Maffesoli.
Nella nostra epoca si è compiuta la pars destruens che prefigurò de Benoist: il collasso della politica, la fine delle ideologie, il primato della tecnica e delleconomia, il dominio mondiale della finanza, lomologazione planetaria sotto la buccia retorica dei diritti umani. In particolare, lavvento dellEuropa dei mercati - e lItalia commissariata dai tecnici, sta vistosamente divaricando, a livello popolare, la destra economica e transnazionale dalla destra politica, nazionale e popolare. La stessa sorte di Sarkozy sembra decisa dal suo progressivo appiattirsi sulle ragioni della destra economica e sul deciso allontanarsi dalla destra popolare e sociale che lo portò allEliseo. Nella sua disamina, De Benoist è spietato con lui, senza peraltro amare il lepenismo, almeno quello paterno. Ma inserisce il fallimento di Sarkozy nel più vasto asservimento degli Stati ai mercati e dei governi alle banche, tramite il debito pubblico. De Benoist non è avverso allunione europea e alleuro, anzi è un fautore di antica data dellEuropa; ma ne rigetta il totale asservimento alle oligarchie finanziarie e tecnocratiche. Auspica una svalutazione nominale e reale, ipotizza un ritorno alle monete nazionali, invoca nuove forme di protezionismo e di intervento sociale, discute il reddito di cittadinanza, denuncia lo sradicamento che legittima limmigrazione come esercito di riserva del capitalismo, reputa la politica - a destra come a sinistra - inadeguata ad affrontare la crisi. Ma chi dovrà poi guidare questo processo non si sa. Certo non possono farlo gli intellettuali. Ma cè in de Benoist qualcosa di analogo e di affine agli intellettuali gauchiste, seppure riguardante i mezzi e i metodi più che i fini: il ruolo centrale dellintellettuale, il progetto culturale di unEnciclopedia, lipotesi di un gramscismo elitario, la critica del liberismo, dellamericanismo e del consumismo, la visione transnazionale e la forza del legame comunitario affidata alla «cittadinanza delle idee» più che alle consonanze radicali, religiose, naturali. E sullo sfondo alcuni nodi che lo rendono indigesto alle culture e alle sensibilità più diffuse a destra: il neopaganesimo con punte anticristiane (si veda oltre il suo testo Come si può essere pagani? anche il bel dialogo Eclissi del sacro con lo scrittore cattolico Thomas Molnar), il nominalismo filosofico, il faustismo tecnologico che mal si amalgama con lapertura ecologista, uno strisciante terzomondismo filo-islamico in funzione antiamericana e unidea di democrazia organica fondata sulla fratellanza, che odora di Rousseau. Ma si avverte in de Benoist la ricerca incessante di nuove sintesi per dar vita a una rivoluzione conservatrice e per superare i vecchi arsenali in disarmo, che de Benoist definiva ne Le idee a posto come «miti incapacitanti». In definitiva, della nouvelle droite si può dire quel che dice lo stesso de Benoist della rivoluzione conservatrice mitteleuropea in unintervista compresa nel Pensiero Ribelle: «Le idee che ha lanciato non hanno mai trovato una vera cristallizzazione storica».
Oggi viviamo estenuati la risacca di tre crisi mondiali abbattutesi con cadenza decennale: la caduta del Muro di Berlino e dellUnione Sovietica e poi la guerra in Iraq, alle soglie degli anni Novanta, che coincisero con la nascita dellEuropa; lattacco alle torri e il conflitto con lIslam alle soglie del duemila che poi coincisero con la nascita delleuro; e la crisi economica dei nostri anni, che poi coincide con il presente collasso.
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