Il più vertiginoso e mistico pittore italiano, il più tormentato nell’anima, fino a bruciare, è un pittore del nord, nato vicino a Varese, nel borgo di Morazzone. Pressoché coetaneo di Caravaggio (nasce nel 1573), ne rappresenta l’antitesi. Non il reale, non il vero, ma l’ascesi, l’estasi, sono il suo spazio visivo, anzi la sua visione. Ecco: Morazzone è un visionario, e la sua concezione estetica va misurata con quella spirituale di Teresa d’Avila.
Parimenti i suoi Francesco in estasi vanno confrontati con l’Estasi di santa Teresa di Bernini. La santa espose nei suoi scritti la sua dottrina mistico-spirituale e i fondamenti e le origini del suo ideale di Riforma dell’Ordine carmelitano. La sua opera più notevole è Il castello interiore (intitolato anche Mansioni), itinerario dell’anima alla ricerca di Dio attraverso sette particolari passaggi di elevazione, affiancata dal Cammino di perfezione, e dalle Fondazioni, oltre che da massime, poesie e preghiere, assai diffuse. Ne ritroviamo lo spirito nei corpi macerati nella consumazione delle visioni, come tizzoni ardenti, nel San Francesco della pinacoteca del Castello Sforzesco o in quello allucinato di collezione privata che si tormenta le stigmate con le mani. La realtà non potrebbe essere più lontana, come lo sarà sempre nelle invenzioni anche macchinose di Morazzone, formato a Roma tra Ventura Salimbeni, Federico Barocci e gli Zuccari. Di quella fase ancora cinquecentesca in cui Morazzone è a Roma, negli stessi anni in cui c’è Caravaggio, ma frequentando ambienti e artisti diversi, restano solo gli affreschi della Concezione di San Silvestro verso il 1596.
L’improvviso allontanamento da Roma è spiegato dalle fonti antiche con un litigio per questioni di donne che lo avrebbe messo in pericolo. Affine più nella vita che nell’opera a Caravaggio, anche Morazzone, evidentemente litigioso, fu processato per il ferimento di tale Alessandro del Rio.
Appena tornato a Varese fu chiamato ad affrescare la volta della cappella del Rosario nella chiesa di S. Vittore (1598-99): gli Angeli musicanti e l’Incoronazione della Vergine sono fortemente manieristici. Il 13 novembre 1598 il Morazzone sposò Anna Castiglioni, che apparteneva a una delle famiglie più in vista di Morazzone; e ciò favori l’affermazione del pittore sulla scena artistica milanese, in quegli anni presidiata dai due giovani Giulio Cesare Procaccini e Giovan Battista Crespi detto il Cerano. Nel 1602 il Morazzone fu indicativamente chiamato, insieme proprio al Procaccini al Cerano, a partecipare alla realizzazione dei quadroni con storie della vita di Carlo Borromeo, destinati al duomo di Milano. Nell’agosto dello stesso anno firmò il contratto per la cappella dell’Andata al Calvario del Sacro Monte di Varallo. L’obbligo contrattuale di prendere a modello gli affreschi di Gaudenzio Ferrari spiega lo stile arcaicizzante ma vivissimo di questi affreschi. Intorno al 1603 il Morazzone ricevette un’altra importante commissione: la decorazione ad affreschi e dipinti dell’abside della collegiata di Arona, la chiesa dove fu battezzato Carlo Borromeo. Le scene mariane manifestano formidabili effetti luministici.
Nel 1608, Carlo Emanuele I lo chiamò alla Corte sabauda per partecipare alla decorazione degli apparati per le nozze di Margherita e Isabella di Savoia rispettivamente con i duchi di Mantova e di Modena. Allo scadere del primo decennio del Seicento inizia il periodo più fecondo della carriera del Mazzucchelli. Tra il 1608 e il 1613 fu attivo in diversi importanti cantieri: a Como per il Gonfalone di sant’Abbondio in duomo (1608), a Varese per la cappella della Flagellazione del Sacro Monte (1608-09) e per la Maddalena di San Vittore (1611), a Varallo per la cappella dell’Ecce Homo (1610) e poi per quella della Condanna, a Milano per l’Adorazione dei magi in Sant’Antonio Abate. A Varallo e a Varese matura un linguaggio teatrale ispirato alla devozione popolare dei pellegrinaggi dei Sacri Monti. I miracoli medievali sono interpretati nello spirito di pietà e penitenza di San Carlo. Il più compiuto è l’impianto scenico della cappella dell’Ecce Homo a Varallo, nel rapporto tra l’architettura, il racconto dipinto e le sculture, realizzate da Giovanni D’Enrico. Nel 1614 il Morazzone iniziò la decorazione della cappella di San Giorgio nel santuario di Rho, finita due anni dopo. L’attività per i Sacri Monti continua a Varallo, nella cappella della Condanna di Cristo, dove Morazzone è documentato dal 1610 al 1616. Con questi affreschi potenti e drammatici si incrinano i rapporti tra il pittore e il Sacro Monte di Varallo: una serie di lettere del 1616 documenta una controversia per la stima della cappella fra il pittore e i Fabbricieri, che in seguito preferirono rivolgersi al giovane Tanzio da Varallo.
Sempre nel secondo decennio, tra il 1612 e il 1620, il Morazzone dipinge nella collegiata di San Bartolomeo a Borgomanero. Nella primavera del 1616 avvia gli affreschi dell’undicesima cappella del francescano Sacro Monte di Orta, con citazioni di Pordenone e Veronese. Intorno al 1617 o poco oltre si deve collocare anche il celebre «quadro delle tre mani», raffigurante il Martirio delle sante Rufina e Seconda, oggi conservato nella Pinacoteca di Brera. Al Morazzone spetta la parte centrale, con il carnefice che brandisce la spada, il paggio e l’angelo con la palma; a Procaccini la santa Rufina in primo piano, confortata dall’angelo; al Cerano il cavaliere sullo sfondo, santa Seconda decapitata e l’angelo con il cane in basso a sinistra. Morazzone appare teso nelle anatomie rimarcate da forti contrasti di luce. In questo quadro «cumulativo », come lo definì Roberto Longhi, la parte centrale, quella del Morazzone, è la più tesa e vibrante. La fama del Morazzone ha oltrepassato i confini dei Sacri Monti e nel 1619 il suo nome compare nel Supplemento alla nobiltà di Milano di Girolamo Borsieri; nel 1620 Giovan Battista Marino inserisce due sue opere nella Galeria. Tuttavia, proprio nel momento di piena affermazione il pittore dà segni di cedimento, almeno nell’organizzazione del lavoro, o per la concorrenza di Tanzio da Varallo, o per la malattia che lo avrebbe portato alla morte.
Nel 1620 porta a compimento gli affreschi in San Gaudenzio a Novara. È l’ultimo grande ciclo decorativo del Morazzone, considerato da Giovanni Testori «uno dei raggiungimenti più sconcertanti, inauditi e propulsori» (1959). Gli affreschi sviluppano il tema del Memento mori, con personaggi ed episodi connessi alla morte; il percorso si compie nella spettacolare, drammatica scena del Giudizio universale. Nel 1622 per Carlo Emanuele I dipinge la Madonna del miele conservata nella Galleria Sabauda di Torino. Nel 1623 è ricordato un soggiorno del Morazzone a Mantova presso il duca Ferdinando Gonzaga, infruttuosamente. In una lettera del 29 marzo 1623 alla corte mantovana, infatti, il pittore si giustifica di non aver potuto realizzare le Nozze di Cana, essendo stato continuamente indisposto. Ancora nel 1623 il Morazzone fu chiamato a Piacenza per affrescare la cupola del duomo, e ne dipinse soltanto i pennacchi con i profeti Davide e Isaia, ultima sua testimonianza pittorica. La decorazione fu compiuta dal Guercino, chiamato nel 1626 dai Fabbricieri del duomo per subentrare al Morazzone, defunto in quell’anno.
La potenza del Morazzone chiude un’epoca che era stata caravaggesca e melodrammatica, e con Guercino si avviava a una verità sensuale e sentimentale. Morazzone fu pittore di tensioni e di dialoghi fra l’uomo e Dio, fra Giacobbe e l’Angelo. E perfino fra la Maddalena e gli angeli, che la assediano, la concupiscono, in una delle opere più sconvolgenti, ed eroticamente contraddittorie, della pittura del Seicento italiano. Sempre tumultuoso, Morazzone ha una formidabile vocazione teatrale, istintiva ma accentuata nell’impegno ai Sacri Monti, e un vento impetuoso agita sempre i suoi racconti e i suoi sogni. Non fu Caravaggio, ma non lo fa rimpiangere. il quadro di Sgarbi Un lungo viaggio attraverso le meraviglie del mondo dell’arte. Ogni settimana in questa pagina il critico Vittorio Sgarbi racconterà l’opera di un grande maestro del passato o del presente - una tela, un affresco, una scultura, un’installazione - leggendola con un occhio particolare.
Non soltanto facendoci (ri)scoprire un gioiello dimenticato o lontano dai grandi itinerari del turismo culturale, ma anche facendone emergere i legami artistici e sociali con l’attualità. Una lezione di un intellettuale sempre fuori dal coro che ha molto da insegnarci.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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