Noventa e il sogno infranto di un socialismo "irreale"

Da poeta quale era, distillò l'idealismo di Croce e Gentile "usando" De Maistre e Pareto. Esaltò la Resistenza ma vide nell'antifascismo un altro fascismo

Una ragazza fascista catturata dai partigiani
Una ragazza fascista catturata dai partigiani

«A decorrere dal 1º gennaio dell'anno duemila, nessun uomo o partito politico potrà dichiararsi irresponsabile dei propri errori, né pretendere una diminuzione di biasimo pubblico, allegando che c'è stato il fascismo». Era il primo articolo dello statuto della Nascente Confederazione italiana che Giacomo Noventa (1898-1960) nel 1947 ipotizzava in una riunione immaginaria di intellettuali e politici al Caffè Greco a Roma. In seguito Noventa scriverà che «l'antifascismo era una setta interna al fascismo... Nel fascismo di ieri c'era qualcosa di valido e di vero che non c'è nel fascismo ripetuto d'oggi» per poi concludere col sospetto che «il fascismo fosse propriamente la cultura e il pensiero italiano. Che il fascismo fosse l'Italia».

Giacomo Ca' Zorzi, in arte Giacomo Noventa, era un poeta veneto e uno scrittore socialista, esaltò la Resistenza. Ma a suo dire la Resistenza popolare aveva un nemico ben oltre l'ultimo fascismo e l'ultimo nazismo: «l'indifferenza popolare italiana, dal Risorgimento in qua». Di lui Castelvecchi ha ristampato ora il breve saggio da cui sono tratte queste ultime riflessioni: Tre parole sulla Resistenza (pagg. 96, euro 9), già uscito da Vallecchi più di 40 anni fa con un saggio di Augusto del Noce, poi compreso nelle sue opere complete edite da Marsilio. Noventa separava la Resistenza dall'antifascismo che reputava speculare al fascismo stesso. Mazziniano, irredentista e interventista, Noventa fu ispirato da un'idea cristiana di redenzione sociale e nazionale, letteraria e religiosa. Divenne socialista tramite un suo originale percorso: dall'idealismo di Croce e Gentile a Marx e Gobetti, ma passando per de Maistre e per Pareto. Emarginato dalla cultura egemone, fu riscoperto da Del Noce e affiancato idealmente a Spirito e Prezzolini nel proposito di superare il fascismo e l'antifascismo. Noventa fu poeta dialettale - il suo nome d'arte era quello del suo paese d'origine, sul Piave - ma pur amando le culture, le lingue e le radici locali, fu un convinto fautore della rigenerazione nazionale d'Italia.

Noventa si oppose in solitudine agli «errori» della scuola torinese, gramsciana e laico-illuminista (di cui l'ultimo papa fu Norberto Bobbio). A cominciare dalla convinzione che i mali d'Italia risalissero alla mancata Riforma protestante e all'avvento della Controriforma. L'errore conseguente fu quello di ritenere il fascismo il prodotto barbaro di quel peccato originale: invece Noventa sostenne che il fascismo non fu un errore contro la cultura, ma un errore della cultura italiana e delle sue punte più avanzate. «Del fascismo - scriveva - è caduta la scorza, la polpa è soltanto più marcia, e il nocciolo è rimasto». L'antifascismo è un figlio marcio del fascismo. E Gramsci e Gobetti sono figli di Gentile. La Resistenza avrebbe dovuto, a suo dire, «chiamare a raccolta tutti gli italiani, anche i fascisti» avendo come nemici i disfattisti. Ma si rivelò un'occasione perduta. Il comunismo diventò l'antagonista della Resistenza, il suo «nemico intimo», anche se di fatto se ne appropriò come di una cosa sua.

Da qui prese corpo la sua proposta di un nuovo partito socialista che mettesse da parte la «boria antipatriottica» e «il complesso di superiorità verso il popolo italiano» e chiudesse con quel laicismo progressista che ha tramutato «la sua religione della libertà in libertà dalla religione», da ogni religione per riscoprire un socialismo spirituale e patriottico. Per lui, in polemica con Franco Fortini, il sentimento religioso è inestirpabile nel cuore dell'uomo. Annota il poeta: come l'uomo che non crede in Dio si fa egli stesso Dio, così lo Stato che non riconosce una religione a cui ispirarsi si afferma esso stesso come una religione. Dunque uno Stato moderno, laico, socialista, può ispirarsi a una visione religiosa, ma nella libertà, senza ricadere nella teocrazia. Il cattolicismo, per Noventa, conserva una «gagliarda e ragionata ironia rispetto agli uomini di questo mondo, ne considera la generale mediocrità, e non crede nei mostri e negli eroi». Noventa critica il virtuismo, definizione che attinge da Pareto, ma nel suo caso usa per stigmatizzare il moralismo politico di chi trasforma gli avversari in nemici e stabilisce uno spartiacque etico tra il partito della virtù e il partito dei delinquenti. Nessun partito, dice il poeta, deve pretendere di essere il partito degli onesti, dei patrioti, degli amici del popolo; quello fu l'errore comune al fascismo e all'antifascismo. Il modo più efficace per combattere i corrotti, gli anti-italiani e i nemici del popolo è riconoscere gli onesti, i patrioti e gli amici del popolo che sono in ogni partito. Parole oggi più valide che mai...

Noventa auspicò un partito socialista tricolore, popolare e nazionale, cattolico e comunitario, che si ponesse al centro del quadro politico italiano al posto della Dc, sintetizzando destra e sinistra. Per certi versi il craxismo fu un esito inconsapevole di quella sua speranza; ma nel poeta c'era una tensione ideale, morale e religiosa assente nella Milano da bere degli anni Ottanta. Di questa sua «eresia» uscì poi un libro postumo da Rusconi.

Noventa esortò i socialisti a non cercare l'essenza del socialismo dove non c'è: da qui la sua fortunata metafora di quel tale che cercava l'orologio d'oro smarrito non ad Hyde Park, dove l'aveva effettivamente perduto, ma a Piccadilly Circus perché era più illuminata... Una parabola contro la falsa retorica del nuovo illuminismo. Significativi anche i suoi viaggi politici da esponente socialista democratico negli anni '50 a Sud, nelle sezioni di Bitonto, di Bisceglie, di Molfetta; l'elogio dell'umanità contadina, della fiducia nell'uomo e non nelle ideologie: «Più che le mie parole, ascoltavano me che parlavo... Questa ricerca dell'uomo, della reale connessione con le opinioni che esprime, si verifica certo anche altrove: ma non nella stessa misura... Tutto questo fervore di vita, questa curiosità appassionata, questa speranza dell'uomo nell'uomo, questa religione del Cristo e non solo di Dio». L'antica ospitalità del Sud «fatigatore» che guarda negli occhi, da uomo a uomo, venato di malinconia, come i disperati che incontra nelle grotte di Andria e a cui dedica versi: «Non spera, non può mai veramente sperare se non chi teme di non sperare più».

Noventa visse isolato e morì a 62 anni nel 1960 come un'anomalia

poetico-civile del paesaggio culturale italiano. Fu profeta verace quando previde che dopo i propagandisti del comunismo e dell'anticomunismo «verranno i propagandisti del nulla». Li sentiamo ogni giorno, assediati dal Nulla.

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