Se citi Pierre Pascal a un letterato o a un intellettuale, quasi certamente non sa chi sia. Eppure Pascal, poeta sacro, scrittore visionario e antimoderno, yamatologo e iranista, fu amico di Gabriele d'Annunzio, con cui ebbe un fitto carteggio ancora inedito e di cui curò alcuni scritti, fu discepolo di Charles Maurras, amico di René Guénon e di Julius Evola, di cui fu pure traduttore, amico di Mishima e di Montherlant, i due scrittori contro il loro tempo che si tolsero la vita alle soglie degli anni Settanta, ai quali dedicò due odi.
Nato in Francia, vissuto da ragazzo in Giappone seguendo suo padre, grande chimico, poi tornato a Parigi, fondatore di Eurydice, rivista di poesia a cui collaborarono Paul Valéry e lo stesso Maurras, combattè in Spagna coi nazionalisti, dove difese le Carmelitane dall'assalto dei comunisti. A guerra finita fu condannato a morte in contumacia in Francia e visse a Roma in assoluta povertà. Incontrò tre volte Padre Pio il quale, pur non conoscendolo, sapeva tutto di lui. Pascal notò nella penombra della cella le stimmate che si facevano lucenti, «di quella luce soprannaturale che prelude alla luce eterna nei corpi risorti e gloriosi». Restò folgorato dal Frate di Pietrelcina come accadde a un altro metafisico, sodale di Guénon e di Evola, Guido de Giorgio. Su incarico di Mussolini, Pascal fu il curatore della Biblioteca del Vittoriale di d'Annunzio durante la Repubblica di Salò e nel frangente della guerra riordinò e salvò carte preziose. Pascal fu l'ultimo scrittore straniero a incontrare Mussolini il lunedì di Pasqua prima della sua uccisione. Su quell'incontro Pascal scrisse un libro uscito e poi sparito nel dopoguerra, ripescato tramite Roberto Melchionda da Sandro Giovannini e ora riproposto a cura di Federico Prizzi, Mussolini alla vigilia della sua morte e l'Europa (Novantico, pagg. 173, euro 20).
Il libro è presentato come testamento spirituale di Mussolini ma sul piano della ricerca storica fornisce scarsi elementi. È il frutto di un colloquio poetico con Mussolini a Villa Feltrinelli, a Gargnano, dove Pascal fu accompagnato dal ministro della cultura, Fernando Mezzasoma. Poco prima di incontrare il duce, Pascal aveva tradotto in Francia il libro di Mussolini dedicato alla morte di suo figlio, Parlo con Bruno. Mussolini aveva letto, riletto e apprezzato la sua traduzione e la poesia dedicata da Pascal al figlio. È un Mussolini spento quello che incontra il poeta, anche se lampeggiano i suoi occhi; un duce lirico che descrive commosso i colori del lago di Garda, l'azzurro, il rosso, le brume e parla di amore, di gloria e di morte. Più magro, con occhi più grandi «ma più dolci e più familiari», un volto dal color d'avorio che s'intrattiene in piena bufera a parlare di storia e di letteratura e dice che l'Italia è stata creata dalla poesia di Dante, dalla pittura e dall'arte che «resterà la parola dell'Italia e la sua unità». A un tratto però s'accende, tira fuori da uno scaffale una cartella ed estrae la fotografia di una ragazza radiosa. Aveva diciott'anni, era piemontese e ardente fascista. «Un giorno fu rapita - racconta Mussolini a Pascal - e giudicata nel modo che voi potete immaginare, e condannata a morte. Il giorno dell'esecuzione due volte gli uomini del plotone rifiutarono di tirare. Ah, Pascal quanto è potente la bellezza!». Poi il capo di queste «anime perse» la uccide sparandole due pallottole nella testa. «E tutti i giorni è così, sospira Mussolini, Tutti i giorni...».
Da giovane Pascal aveva incontrato più volte Mussolini, in missione per il governo francese. C'è perfino una foto che lo ritrae accanto al duce mentre arringa la folla a Piazza Venezia, unico straniero al suo fianco. Come Ezra Pound, anche Pascal si innamorò dell'Italia dantesca e fascista, a cui dedicò odi, i suoi cantos. Nel 1947 fu condannato a morte in Francia per «intelligenza col nemico», perché amico di Maurras, vicino all'Action Française e ammiratore di Mussolini, oltreché cultore dei Samurai. Un suo libro autobiografico, In morte di un samurai, fu ripubblicato qualche anno fa dal Settimo Sigillo. Fu proprio il libro-testamento di Mishima, Sole e Acciaio, che a diciott'anni mi fece conoscere Pascal che ne aveva curato l'introduzione. Poi lo ritrovai come biografo e traduttore di Evola a cui dedicò una ikebana, Lux evoliana. Pascal fu indirizzato da giovane a Evola da René Guénon che gli consigliò la lettura di alcuni suoi libri. Pascal ventenne frequentava con Pierre Noël la casa parigina di Guénon, con cui ebbe poi un ricco epistolario. Ma a un certo punto il grande metafisico ed esoterista abbandonò Parigi e si ritirò in Egitto assumendo un nome islamico e finendo la propria vita al Cairo. Privati della loro stella polare, i giovani parigini come Pascal, ondeggianti tra Oriente e Cristianesimo nel segno della Tradizione, si rivolsero allora ad Evola.
Pascal non cessò di essere cattolico. Devoto a Santa Teresa d'Avila e alla Madonna di Fatima, criticò duramente il Concilio Vaticano II. Prese a frequentare Evola fino ai suoi ultimi giorni, abitando a poche centinaia di metri dalla sua casa; fu suo il resoconto della cremazione e della dispersione nelle Alpi delle ceneri evoliane. In una lettera a Renato Del Ponte, racconta che Evola amava parlare con lui «di cose intangibili». Poco prima che Evola morisse, Pascal va a trovarlo e così scrive: «Egli aspetta la morte. Tuttavia l'ho trovato con un bel viso raggiante, lo sguardo vivace, la loquela chiara e la mente maliziosa». Pierre Pascal fu cancelliere dell'ambasciata imperiale dell'Iran presso la Santa Sede e tradusse le opere di grandi poeti persiani, oltre che testi buddhisti. Morì a 81 anni a Roma, nel 1990, e fu sepolto al Verano nella cappella dei Caetani Lovatelli. Sulla sua lapide è scritto: «Poeta e scrittore in esilio». Belle testimonianze su di lui scrissero Giovanni Artieri, lo stesso Del Ponte e Gabriella Chioma, Aldo La Fata e Silvano Panunzio. Anche a lui si ispirò il gruppo di poeti del Vertex.
Quando scrisse del suo ultimo incontro con Mussolini nell'Albergo dell'Altra Vita, come chiamò Villa Feltrinelli coi suoi abitanti destinati alla morte, Pascal ricordò di Mussolini l'ultimo sorriso e «il suo sguardo obliquo dardeggiante su di noi». Pascal rispose con un sorriso e un mezzo inchino, nutrendo il netto presagio che sarebbe sparito per sempre.
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