La Dolce vita veste lo stile del Forte

Il fascino della Versilia resiste agli anni e alle crisi, specchio sempreverde degli splendori e delle miserie dell'italiano

La Dolce vita veste lo stile del Forte

Immacolati. Candidi come una lastra di marmo delle Apuane. Barcollano sotto il peso di ceste piene di leccornie sulla spiaggia di Forte dei Marmi. Elegantissimi, con i pantaloni leggermente arrotolati sopra le caviglie. Perché a Forte dei Marmi è sempre stata una questione di stile. Ultimo fortino della bella vita italiana, ultimo salotto balneare capace di attrarre un turismo internazionale ma non troppo ciabattone. Al Forte, così si usa dire, sono passati e passano in rassegna i vizi e le virtù di un popolo intero. Ci pensò il più grande genio del marketing di tutti i tempi - oltre che poeta - a battezzare il Novecento della Versilia. Gabriele D'Annunzio, stanco di Firenze e di quella stupenda Capponcina che sarebbe poi stata assalita dai creditori, inseguì Eleonora Duse fino a Viareggio. E s'innamorò perdutamente di lei e della Versilia. Delle lunghe spiagge sulle quali amava cavalcare nudo (sarà vero? Ma alla fine che importanza ha che lo sia?), dei suoi eleganti alberghi in stile Liberty e dei suoi parchi. E si ritorna subito alla leggenda che vuole ambientata tra i tumidi pini del parco della Versiliana «La pioggia nel pineto». Ma anche questo, come molto nella biografia del Vate non si sa quanto sia vero. Di certo, all'ombra delle Apuane, ideò e compose una parte dell'Alcyone. E contribuì a mito secolare della Versilia.

Ma dalle passerelle che attraversano le lunghe spiagge affacciate sul Mar Ligure sono passati tutti. Dai rampolli della famiglia Agnelli, a partire dall'Avvocato, da Curzio Malaparte a Thomas Mann, da Aldous Huxley a Giacomo Puccini, da Luchino Visconti a un luciferino Carmelo Bene che qui - tra i fumi dell'alcol - in una notte turbolenta si narra che abbia trovato il geniale titolo per uno dei suoi libri: «Sono apparso alla Madonna».

Il Forte è un ascensore in perenne viaggio tra l'alto e il basso: l'eleganza e il kitsch, l'aristocrazia e lo snobismo, l'ostentazione di certi parvenu e la riservatezza dei pini che custodiscono le ville capolavoro di Roma imperiale. Forte dei Marmi sono le focaccine da pochi euro col sale grosso ma anche i ristoranti inavvicinabili, dove girare tra i tavoli è come sfogliare le pagine patinate di qualche rivista di gossip.

Il fascino della Versilia resiste a tutto, persino ai russi che da anni imperversano e spadroneggiano sulla battigia e nelle piste da ballo. Agli anni e alla crisi, che qui sembra essere solo passata come un turista sbadato. Forte dei Marmi è un barman che shakera un cocktail di mode, tic, abitudini e costumi di ere diverse.

A tratti sembra ancora di essere nella fantastica estate del «Viaggio in Versilia» di Giancarlo Fusco, quella del boom economico. Un boom del quale, da queste parti, accostando l'orecchio alla spiaggia ben battuta, si può ancora udire l'eco.

Passeggiando tra le cabine ordinate e rassettate, annusando l'odore di vernice scaldata dal sole della controra, sembra di essere in una scena di Sapore di Mare. Racconto epico, epopea nazional popolare della Versilia e dei suoi abitanti che non sono - non se la prendano gli indigeni! - solo i versiliesi, ma gli italiani tutti.

Ti aspetti di vedere sbucare da una di quelle cabine - che chissà quanti segreti hanno protetto - Jerry Calá, Isabella Ferrari o Guido Nicheli. Maschere sempreverdi - proprio come i pini marittimi che qui sono di casa - dell'italiano in villeggiatura.

E sulla spiaggia si possono vedere ancora barcollare sotto il peso della mercanzia i venditori ambulanti. Ma magari oltre ai bomboloni hanno anche qualche Rolex contraffatto. Anche questa è Forte dei Marmi. Realtà e apparenza. Stupenda italianità.

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