Politica economica

L'Italia faccia squadra anche nella partita intelligenza artificiale

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L'Italia faccia squadra anche nella partita intelligenza artificiale

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Il più bel Paese del mondo che è il nostro, grazie a una natura generosa e a generazioni passate dotate di genialità irripetibili, deve affrontare, in un quadro geo-politico internazionale deteriorato, problematiche-opportunità che forse non hanno precedenti per ampiezza e accelerazione. Mi riferisco all'intelligenza artificiale e alla sfida delle competenze e della ridefinizione del lavoro e dei saperi; alle transizioni 5.0 che comportano sfide per il manifatturiero, al ruolo di università, imprese e ITS per l'innovazione del sistema di istruzione e la formazione dei giovani. Nel definire le risposte - da tradurre in programmi articolati, finanziati e scadenzati - debbono essere coinvolti il sistema pubblico nazionale e locale, le rappresentanze datoriali e sindacali, quelle della cultura e della ricerca. Ciascuno di essi, sotto la regia del governo, ha l'opportunità-esigenza di dover-poter fare squadra, cosa che in Italia si fa poco e male, per gli interessi complessivi. L'obiettivo è tornare a una crescita costante e sostenibile del Pil prossima al 2% annuo, mantenendo nel capitale umano il riferimento, in modo da gestire l'intelligenza artificiale e non farsi sostituire da essa. L'IA è in rapida ascesa, negli Usa sono già stati convogliati dal privato, con il supporto pubblico, centinaia di miliardi di dollari. Nell'area euro difettano le risorse finanziarie, così come sono poche le imprese che possano realizzare sistemi di AI, i cui pilastri sono le reti neurali artificiali costituite da unità computazionali interconnesse. Solo le major Usa dell'innovation tecnology, quotate al Nasdaq, possono permetterselo.

Le transizioni 5.0, indispensabili per futuro delle imprese, già oggi godono di regimi di credito d'imposta ma è necessario che trovino una strada di investimenti da indirizzare al software, al fotovoltaico e alla formazione. Tre pilastri in cui il capitale umano deve essere primo attore. Per esserlo deve agganciarsi al ruolo delle università e, come in Germania e Francia, a quello degli ITS academy, scuole di eccellenza ad alta specializzazione tecnologica post diploma. Serve definire una vera connessione di istruzione, formazione e lavoro con le politiche industriali. Così come è necessario un piano operativo in grado di formare un sistema socio economico al tempo con i tempi.

Per riuscirci è indispensabile fare squadra, purtroppo sono molte le occasioni possibili ma perse.

Situazione che ha spinto il nostro Paese verso sistemi inefficienti e inadeguati a mantenere in mani italiane il controllo delle filiere, vero fiore all'occhiello del made in Italy, invidiato in ogni dove, ma ormai quasi completamente sotto controllo di capitali esteri.

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