In un Paese così, dove milioni di reati restano impuniti, dove migliaia di ceffi da galera vanno in giro, e dove il direttore di un giornale va in carcere per un articolo pubblicato sul suo giornale, io non ci vorrei vivere.
In un Paese così, dove l'onore ferito va a tassametro e se tu paghi smettono di sentirsi offesi, io non ci vorrei vivere.
In un Paese così, dove i magistrati danno ragione ai magistrati, dove un cittadino perde sempre contro un magistrato, dove passano anni e anni per un giudizio definitivo, io non ci vorrei vivere. In un Paese così, dove la politica è incapace perfino di rimediare alle storture e al reato d'opinione, e sa solo reagire quando le toccano gli affari propri, io non ci vorrei vivere.
E poi, da un Paese così, dove la verità vale meno dell'appartenenza, la qualità conta meno della collocazione, dove quel che sei, quel che vali, quel che pensi non conta rispetto a da che parte stai o peggio come ti hanno incasellato, e dove una vita intera, un'opera o un'impresa viene giudicata solo da una frase o da una supposizione, te ne vorresti andare. Ma quel Paese tu ce l'hai nel sangue, nell'anima, sulla tua lingua.
Qui hai costruito, anche se nessuno te ne rende merito, qui hai generato, hai vissuto, hai amato, nonostante tutto. Allora pensi a come andartene restando, ti costruisci rifugi e lontananze per un'emigrazione interiore.
Ma il Paese viene a riprenderti e ti ricaccia dentro il suo vomito.
E se vuoi sopravvivere alla Disgrazia, devi chiedere la grazia.
Che schifo vivere in un Paese così.
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