Da settant'anni il 25 luglio è il tormentone della storia d'Italia, il paradigma di tutte le cadute dei capi, di tutti i conflitti tra poteri e di tutti i voltafaccia e i tradimenti. Ogni leader deposto nella nostra repubblica ha subito la sindrome del 25 luglio: da Craxi a D'Alema, da Berlusconi a Bossi, solo per dire dei più recenti.
Per i missini, la replica del 25 luglio fu la scissione di Democrazia Nazionale dal Msi (poi venne il caso Fini). Almirante ripeteva che fu coniato un verbo in inglese, To Badogliate, per indicare il tradimento col nome del Maresciallo Badoglio.
Il 25 luglio è anche un evento paradossale: un dittatore che va al Gran Consiglio consapevole del destino che lo attende, cade democraticamente, con voto di larga maggioranza e rimette il suo mandato nelle mani del Re e poi si fa arrestare.
Chi lo abbatte sono i suoi quadrumviri della Marcia su Roma (Balbo era morto), le migliori intelligenze del regime, da Grandi a Bottai, personalità di valore come De Stefani, De Marsico, Rossoni, Federzoni; la destra del regime, sotto l'egida del Re. Col Duce al Gran Consiglio restano in pochi e non i migliori. Mussolini è sfiduciato, non ama la prospettiva di andare al rimorchio dei tedeschi, magari voterebbe anche lui per la caduta.
Poi con l'8 settembre verranno le tragedie, da
Salò a Verona, gli eccidi rossi, i rastrellamenti tedeschi, la guerra civile. Ma il Paese spaesato e decapitato, con la classe dirigente che si squaglia, comincia là (salvo antichi precedenti). Il 25 luglio non finì più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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