Pop Francesco ha riscosso un trionfo col suo Te deum danzante a Copacabana. Anche stavolta, come nelle giornate dei Papa boys di Wojtyla, va distinta la religione come evento dalla religione come pratica di vita. La festa è un'interruzione eccezionale che non comporta un passaggio alla fede. E tuttavia, la svolta di Pop Francesco - pop come popolare, populista e pauperista - ha avuto la prima investitura plebiscitaria in un Paese cattolico e vitalista, povero e in crescita, dove Cristo Re e il carnevale, il calcio e la Madonna si contendono il paradiso tra terra e cielo.
Il Papa fa bene a ripartire dal basso e dal semplice, con un abecedario della fede anche naive, che parla alle periferie più povere del mondo. Ripopola la Chiesa. Che poi risponda coi suoi racconti e i suoi gesti alla scomparsa di Dio e ai dubbi sulla fede, è un altro discorso.
Mentre Papa Francesco raccoglieva le folle a Rio, due tragedie funestavano la vecchia Europa cattolica e familista. Una sul cammino ferroviario verso Santiago di Compostela, l'altra sulle vie del pellegrinaggio di Padre Pio nel nostro profondo sud (in gita termale e famigliare).
È il primo fine settimana in cui il bilancio delle vittime non dipende dalle intemperanze di ragazzi eccitati da alcol, droga e velocità, ma tocca inermi devoti o vacanzieri etici con famiglia e pullman. Il destino non fa sconti alla provvidenza, si potrebbe dire. Ma non date la colpa al Signore che si è trasferito a Copacabana. Resta senza risposta la domanda: la Chiesa pop resusciterà Dio?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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