Roma Nonostante la protesta organizzata dalla comunità musulmana al Colosseo contro la chiusura delle moschee abusive, la polizia locale di Roma Capitale, nei giorni scorsi, ha apposto i sigilli ad un'altra sala preghiera in via Montenovesi, nel quartiere Boccea. I musulmani romani hanno perciò annunciato una nuova mobilitazione. Quella di Boccea, infatti, è la sesta moschea non a norma ad essere posta sotto sequestro in pochi mesi.
Il motivo è sempre lo stesso: abusi edilizi e mancato rispetto delle norme per la sicurezza all'interno dei locali. Di sale-preghiera così, a Roma, ce ne sono circa 52.
Si chiamano centri culturali islamici, ma in realtà sono vere e proprie moschee, ricavate in garage, scantinati o ex magazzini, che ogni venerdì accolgono centinaia di fedeli islamici (guarda il video).
«Qui pregano fino a 300 persone, se ci chiudono dove andiamo?», ci dice Hussein che lavora in una ferramenta a Tor Pignattara, a pochi metri dal centro islamico dove tutti i giorni viene a pregare. Questo quartiere della periferia est di Roma, dove la metà degli abitanti sono musulmani, è il cuore della protesta islamica contro la chiusura dei luoghi di culto.
«Noi viviamo qui, lavoriamo qui, non possiamo mica andare a pregare ai Parioli - spiega Anwar, presidente di una sala preghiera del quartiere -. In Italia non c'è una legge per le moschee, quindi noi troviamo i locali e li sistemiamo a modo nostro».
Qui a Tor Pignattara l'ennesima chiusura la considerano «una presa in giro», perché è avvenuta mentre era ancora aperto il tavolo tra la Prefettura, il Comune e le associazioni islamiche, per trovare una soluzione al problema (guarda le foto).
«La situazione va risolta a livello sociale e politico, continuando con le chiusure non si risolve nulla - afferma Bachcu, presidente dell'associazione Duhuumchatu e organizzatore della manifestazione al Colosseo -. Una sala preghiera non può essere chiusa per un problema che riguarda l'urbanistica, pregare è un nostro diritto fondamentale e se insistono nel chiudere le moschee, continueremo a pregare nelle piazze».
«Venerdì prossimo, l'11 novembre, pregheremo in zona Prati», annuncia Bachcu, che spiega come i giovani islamici italiani di seconda generazione avessero in programma anche un flash mob di protesta: «Volevano andare a pregare Allahu Akbar in tutta la città, al Vaticano, nelle piazze o davanti alla chiese, per provocare. Alla fine siamo riusciti a fermarli, ma se partono queste iniziative, cosa facciamo?».
Neppure la concessione, da parte del V Municipio, di una palestra pubblica per la preghiera del venerdì è servita a placare gli animi.
«Abbiamo accettato solo per non passare da maleducati, ma non abbiamo bisogno di questo locale perché le sale preghiera le hanno chiuse a Centocelle, non a Tor Pignattara» - ci spiega Bachcu, mostrandoci il protocollo d'Intesa che ha firmato con il Comune di Roma per usufruire, una volta a settimana della palestra, che si trova in una ex scuola del V Municipio -. Non abbiamo ancora le chiavi e non so neanche se la utilizzeremo, visto che un comitato di cittadini ha pure minacciato di darci fuoco se andassimo a pregare lì.
Il sindaco Raggi deve intervenire per risolvere il problema finché le cose sono gestibili. Non possono lasciare 120mila musulmani a pregare in strada».E in strada, centinaia di musulmani romani, scenderanno di nuovo venerdì prossimo, per pregare rivolti alla Mecca.
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