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"Scandalo? Era una protesta politica. La deriva c'era prima con la sinistra"

L'ex direttore di Rai 1: "Ai miei tempi c'era un'altissima adesione agli scioperi. Adesso c'è un riequilibrio rispetto a una situazione a senso unico"

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Fabrizio Del Noce, lei da giornalista, inviato, direttore (di Raiuno e Rai Fiction), ha mai assistito a una spaccatura così clamorosa all'interno dei giornalisti Rai da portare al fallimento di uno sciopero?

«Mai, ai tempi in cui ero io al Tg1 (anni '80 e '90) c'era un altissimo livello di adesione agli scioperi. Devo dire, però, che era un altro mondo rispetto ad oggi e che c'era una grande stima tra colleghi anche se di sfere politiche opposte».

Secondo lei il fatto che Tg1 e Tg2 siano andati in onda ugualmente nonostante l'astensione proclamata da Usigrai costituisce un pericolo per la libertà di informazione pubblica?

«Assolutamente no. Parlo da spettatore, perché sono da molti anni fuori dalla Rai: non vedo alcuna deriva, semmai la vedevo prima quando per dieci anni c'è stata un'occupazione da parte della sinistra che non era neppure legittimata dalle elezioni. E poi vedo tutti i giorni in tv la segretaria del Pd Schlein».

Però si grida alla scandalo perché i vertici delle news hanno di fatto evitato lo sciopero sostenuti dei colleghi iscritti al nuovo sindacato interno di destra UniRai che hanno scelto di lavorare.

«Io non vedo scandali. Anzi mi sembra che lo sciopero indetto avesse più che altro ragioni politiche, per cui certamente d'ora in avanti la spaccatura influirà per questioni di questo tipo. Ma le redazioni avranno sempre molto potere nei confronti dell'azienda in merito agli interessi legittimi dei giornalisti».

In effetti, tra i motivi dello sciopero, oltre alla denuncia dell'ingerenza del governo, c'erano anche ragioni come le mancate nuove assunzioni tramite concorso e il taglio dei premi di risultato.

«Ma non si possono fare assunzioni quando è in corso un processo di riforma industriale complesso, bisogna aspettare che sia finito per verificare le necessità effettive. Trovo ridicolo poi che si protesti contro l'accorpamento radio-televisivo delle redazioni di sport e parlamento: sarebbe uno soluzione che guarda all'efficienza».

Insomma, a lei non pare che ci sia una occupazione da parte del governo della televisione di Stato?

«Semmai vedo un riequilibrio rispetto a una situazione precedente che era a senso unico verso sinistra. E non vedo nessuna minaccia alla democrazia o pericolo di deriva ungherese, come viene paventato».

In altre epoche, che lei ha vissuto molto da vicino, in cui il governo Berlusconi controllava la tv pubblica (e anche quella privata), non si era mai arrivati al fallimento di uno sciopero indetto dal sindacato.

«Non si era mai arrivati a una conflittualità così alta all'interno delle redazioni, nonostante le critiche fortissime: mi ricordo, ad esempio, le accuse contro il famoso panino nel tg1 di Mimun. E comunque la situazione politica era completamente diversa: lo scontro ideologico era durissimo ma c'era un forte rispetto intellettuale perché allora la sinistra si occupava dei problemi reali del Paese mentre oggi corre dietro all'elettorato radical chic, al politicamente corretto dimenticandosi dei lavoratori, degli operai e dei veri problemi come l'enorme disuguaglianza che dilaga nel mondo».

Restando in Rai, il riequilibrio non sembra ancora aver portato a un'innovazione dei programmi confortati da numeri di successo.

«Perché in questi ultimi anni, non solo adesso, si è continuato a vivacchiare senza costruire una nuova visione editoriale.

Su Raiuno vanno ancora in onda le trasmissioni che facevo io, dai Migliori anni a Ballando ad Affari tuoi».

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