Ringraziamo (per una volta) la Consulta

È notizia di ieri il ricorso alla Corte costituzionale sulla legittimità della soglia del 4% che impedisce ai partiti minori di accedere al Parlamento europeo

Il palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale
Il palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale

Il fervente attivismo della Corte Costituzionale inizia circa venti anni fa, con i primi smottamenti della Costituzione e la nuova versione dell'articolo 68, che regolava i rapporti tra politica e magistratura. Eliminata l'immunità parlamentare, resta in piedi l'insindacabilità delle opinioni espresse dai deputati. Unica materia con cui si valuta se sottrarre all'arbitrio dei giudici la libertà di parola. Una facoltà che avrebbe dovuto garantire al parlamentare indipendenza di giudizio anche oltre la surrettizia garanzia della libertà di stampa. In realtà giornalisti e parlamentari restano esposti alla minaccia delle querele che si manifestano come vere e proprie intimidazioni.

È quello il momento (1993) in cui io divento il principale cliente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, la cui competenza si restringe ai soli reati di opinione. Nel caso mio una vera e propria tempesta di querele, soprattutto di magistrati, i quali chiedono esorbitanti risarcimenti per le mie continue contestazioni del loro operato. Nei casi in cui la Giunta, e poi l'Assemblea, mi garantiscano l'insindacabilità, immancabilmente il magistrato ricorre alla Corte Costituzionale per chiedere l'annullamento della delibera e del voto della Camera. Così divento materia giurisdizionale per la Consulta. Il risultato è che, bombardato dalle querele, il parlamentare (come il giornalista) rinuncia alla sue critiche per evitare risarcimenti milionari.

Ho fatto questa premessa per dire che, a partire dal mio caso, la Corte è entrata a gamba tesa nei territori della politica, e ne abbiamo avuto esempio con le recenti sentenze che hanno annullato il voto dell'aula, come nel caso della legge elettorale, chiamata Porcellum e giudicata incostituzionale.

È notizia di ieri il ricorso alla Consulta sulla legittimità costituzionale della soglia del 4% che impedisce ai partiti minori di accedere al Parlamento europeo. Il ricorso ha determinato stupore e perplessità nei commentatori. Sentivo a Radio24 opinioni scettiche e preoccupazioni fugate, sui rischi per il voto del 25 maggio.

Mi ha colpito l'avversione al ricorso, come se fosse un capriccio, di un uomo preparato e competente come Gianfranco Pasquino che richiamava l'esistenza dello sbarramento anche nella legge elettorale tedesca. Peccato che ignorasse, con mio stupore, che lo sbarramento in Germania è previsto per le elezioni politiche, mentre, proprio la Corte Costituzionale, invocata sulla materia, lo ha ritenuto illegittimo per le elezioni europee, a garanzia della rappresentanza delle formazioni minori.

Il precedente è importante, ed è difficile immaginare che una regola democratica sancita dalla Corte Costituzionale valga per un Paese e non per l'altro, con evidenti disparità nelle delegazioni europee, anche con riferimento ad aree politiche di identica ispirazione (penso, oltre ai popolari e ai socialisti, ai Verdi, che dall'Italia non avrebbero rappresentanti).

È evidente che una sentenza favorevole al ricorso costringe a ridisegnare la composizione dei gruppi maggiori, imponendo di attribuire seggi in misura compiutamente proporzionale anche ai partiti più piccoli, in nome di una democrazia reale e non selettiva.

Se l'avvocato Besostri ottenesse soddisfazione, il precedente potrebbe avere effetti anche, come chiede Nichi Vendola, annunciando altri ricorsi, sulla legge elettorale nazionale, nella quale è capricciosamente stabilito uno sbarramento per i partiti al 4,5%. Perché non al 4% o 2,5% ?

Anche in questo caso,

come in quelli sopracitati, la Consulta, pronunciandosi, farà politica. Ma con principi più solidi e meditati di quelli apparentemente casuali e demagogici che hanno ispirato le nuovi leggi elettorali.

press@vittoriosgarbi.it

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