Aggressioni e degrado: l'inferno delle stazioni romane

Sottopassi da film horror e stazioni ostaggio di sbandati e microcriminalità: spostarsi nella Capitale, dal centro alla periferia, ormai è diventata una scommessa soprattutto per le donne

Aggressioni e degrado: l'inferno delle stazioni romane

Non è un viaggio. Assomiglia più che altro ad una continua scommessa con il destino la routine dei pendolari romani. E allora può anche capitare di essere seguiti da un balordo e rischiare qualcosa di peggio di un ritardo sulla tabella di marcia. Le stazioni ferroviarie della Capitale fanno paura. Lo sa bene chi frequenta snodi affollati come Termini e Tiburtina, protagonisti ogni giorno della cronaca cittadina per le ripetute aggressioni. Ma situazioni analoghe possono accadere ovunque. Anche in luoghi che all’apparenza appaiono più sicuri come la stazione Ostiense. Qualche giorno fa, proprio lì, una donna è stata aggredita in pieno giorno. Stava camminando nel sottopassaggio che porta ai binari quando un ivoriano di ventiquattro anni l’ha sbattuta contro il muro ed ha iniziato a palpeggiarla. A liberarla da quella morsa orrenda è stato un passante armato di spray al peperoncino.

“L’aggressione – ci spiega Claudio De Santis, del comitato di quartiere L’Ostiense – è avvenuta in una parte di tunnel dove manca la colonnina dell’Sos e c’è poco passaggio”. Oggi la zona è pattugliata da militari e forze dell’ordine ma c’è chi dice che non è abbastanza. “La stazione – si lamenta una giovane mamma – è diventata un bivacco di clochard e stranieri che vivono alla giornata e si stordiscono di alcol”. “Non ha senso rafforzare i pattugliamenti – le fa eco un vecchio tassista – se poi non si mettono in moto i servizi sociali del Comune di Roma”. “L’episodio del tentato stupro – ragiona – non è altro che la punta dell’iceberg dell’abbandono di questa città e dei suoi cittadini”.

Non c’era nessuno, invece, ad aiutare Raffaella, pendolare romana sulla quarantina, quando è stata scippata alla stazione di Villa Bonelli. “Qui manca tutto – ci dice – dall’illuminazione alla videosorveglianza e di pattuglie se ne vedono poche”. L’elenco delle disavventure capitate a questa donna nel corso del tempo è lungo: “Mi hanno rubato quattro bici e sono stata scippata più di una volta, ho sempre denunciato ma non è mai cambiato nulla”. “Il Tevere – aggiunge – pullula di insediamenti abusivi e questa stazione è frequentatissima dalle gang di rom che borseggiano i passanti”. Ecco perché le sue colleghe, quelle che come lei partono dallo scalo della Magliana per raggiungere l’aeroporto di Fiumicino, si fanno venire a prendere da mariti e compagni. Ma come fanno le donne sole? Come fanno quelle che non hanno nessuno su cui poter contare? Raffaella si è attrezzata, come tante, mettendo lo spray al peperoncino nella borsetta.

“È allucinante – denuncia Marco Rollero, esponente romano di Forza Italia – che le lavoratrici della Magliana siano costrette a farsi scortare”. E non va meglio a quelle che scelgono di raggiungere i binari passando da percorsi alternativi al tunnel. Se il passaggio sotterraneo è impraticabile a causa della scarsa illuminazione e delle vistose perdite d’acqua, chi si muove sull’altro versante dello scalo è costretto a fare i conti con un ponte pericolante immerso nella boscaglia e nel degrado. “Questo ponticello pedonale – ci spiega Valerio Garipoli, capogruppo di Fratelli d’Italia in XI Municipio – non è sicuro, il passaggio è stato interdetto mesi fa con delle recinzioni ma i pendolari continuano ad usarlo per evitare il sottopasso”. L’illuminazione va e viene, la pavimentazione è dissestata e tutt’attorno si sviluppa un canneto dove si intravedono tracce di insediamenti e bivacchi. Il paradosso, poi, è che a pochi metri da qui ci sono pure gli uffici municipali. “Ma nessuno vede nulla”, tuona Garipoli, chiedendo l’immediata messa in sicurezza del ponte e dell’intera stazione. Si ricorre alla difesa fai-da-te anche nel quadrante nord.

Agli antipodi della stazione di Villa Bonelli c’è infatti quella di Prima Porta. Il vecchio sottopassaggio, che tutti qui ricordano con orrore, è stato pensionato dai recenti lavori di rifacimento. La struttura all’interno luccica, ma solo di giorno. “La notte diventa un covo di sbandati”, racconta una signora della zona, mentre si avvicina allo scalo aggrappata alla nipote per evitare le insidie dell’asfalto. Le ragazze che si muovono lungo la tratta Roma-Civitacastellana-Viterbo sono parecchie. Tra loro c’è Gioia, poco più che ventenne, che quando ci parla allarga le braccia rassegnata. Ha perso il conto, dice, delle volte che le hanno scassinato la macchina per rubarle l’autoradio. La carrozzeria è ridotta ad un reticolato di segni. Alla fine, spiega indicando il cruscotto della sua Smart, “non l’ho più rimessa”.

Ci racconta del tragitto di ogni sera, fatto al cellulare con il fidanzato, e delle accortezze che usa per non essere importunata. “Noi pendolari – scherza – abbiamo un dress-code”. Gonne corte, pantaloncini e scollature vistose sono da evitare. E si cammina con lo sguardo basso, “per non incrociare quello di chi cerca di infastidire soprattutto le ragazze e le donne sole”.

“Quando prendo il treno, la sera, ho paura – ci conferma un’altra giovane – e da quando un nomade ha aggredito una mia amica per rubarle la collanina cerco di limitare al massimo gli spostamenti”. C’è chi minimizza e sostiene che questi sono i classici inconvenienti delle stazioni di periferia. Di quella grande periferia romana, che oramai si estende a perdita d’occhio dal centro alle borgate.

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