Spaccio e degrado al Colosseo. Il migrante con il cacciavite: "Prima o poi ci ammazzo qualcuno"

Nel parco di Colle Oppio proliferano degrado e illegalità. Approfittando dello stallo dei lavori di riqualificazione, una cinquantina di migranti si è accampata al di là delle recinzioni del cantiere. Uno di loro si è impossessato di un grosso cacciavite lasciato incustodito dagli operai e minaccia: "Prima o poi ci ammazzo qualcuno"

Spaccio e degrado al Colosseo. Il migrante con il cacciavite: "Prima o poi ci ammazzo qualcuno"

Al di là delle recinzioni del cantiere brulica un mondo di sbandati e senzatetto. Siamo nel parco di Colle Oppio, la passerella archeologica che ogni giorno conduce migliaia di persone alle pendici del Colosseo. A guardarlo da questa angolatura, il monumento simbolo della Capitale è incorniciato da lenzuola e indumenti che svettano su ringhiere e cancellate. È un segnale inequivocabile: migranti e clochard sono tornati ad occupare la parte superiore della villa.

La nuova ondata è arrivata con l'inizio dei lavori di rifacimento del parco. Fondi straordinari che risalgono all'epoca del Giubileo e dovrebbero ridare decoro ad un'area dimenticata per troppi anni. Il cantiere è cominciato a primavera ma la consegna, prevista per la fine di agosto, è slittata. Nel frattempo, al suo interno, si sono stabilite decine di persone. Per lo più migranti. Afghani, pakistani e bengalesi che si sono rifugiati in ogni anfratto. Alcuni pernottano all'ombra delle rovine romane, davanti agli sguardi attoniti dei turisti, altri si sono sistemati a ridosso dell'area giochi con sacchi a pelo e cartoni. Ma questa è solo la parte emersa di un fenomeno che ha messo radici nei luoghi più insospettabili.

Anche gli sfiatatoi che sovrastano la Domus Aurea e servirebbero ad areare la villa di Nerone sono diventati la casa di un esercito di invisibili. Dei veri e propri loculi dove non c'è il minimo spazio di manovra. Dentro a ognuno ci dormono fino a tre persone. Per riuscire ad infilarcisi dentro, Ibrahim, ha rimosso alcuni mattoncini. È lui a confermarci che nel giardino stazionano una cinquantina di migranti. È arrabbiato. Impreca contro lo Stato e dice che vorrebbe tornare a casa sua, in Mali. Nella mano destra tiene uno spinello. Proprio così. Perché in questa terra di nessuno lo spaccio va avanti indisturbato e le liti sono all'ordine del giorno. Ce lo racconta senza giri di parole un pakistano che dorme qui assieme ad altri connazionali. "Mi derubano in continuazione", aggiunge, mentre brandisce un cacciavite grosso e affilato.

Minaccia di usarlo per difendersi dai furti. "Giuro che se ci provano un'altra volta ci ammazzo qualcuno", esclama mimando un accoltellamento. Quando finalmente infila quella che è a tutti gli effetti un'arma nella tasca dei pantaloni mimetici, gli chiediamo come se l'è procurata. "L'ho trovata nel cantiere". Come apprendiamo dai residenti, infatti, nel mese di agosto i lavori si sono arenati. E così utensili e materiali sono rimasti incustoditi, alla mercé di chiunque. "Basta fare una passeggiata nella villa per constatare che da mesi il parco è stato tagliato in due: le aree cantierizzate sono abbandonate e i materiali sono rimasti qui per settimane senza che nessuno vigliasse", denuncia Michele Rak, presidente del Centro anziani di Colle Oppio.

"Ogni tanto sottraggono qualcosa per fare danni", aggiunge. Nonostante sia frequentato ogni giorno da frotte di turisti, il parco non è nuovo ad abusivismo e illegalità. A settembre di due anni fa si è persino consumata una tentata violenza sessuale ai danni di una ragazza americana. Un ivoriano l'ha abbordata con la scusa di una sigaretta e ha poi cercato di trascinarla nella vegetazione. Viveva anche lui da accampato nella parte alta della villa.

"Temiamo che fatti del genere possano ripetersi – racconta Valentina Salerno del Comitato cittadini di Colle Oppio – perché l'humus umano che ruota attorno al parco non è affatto rassicurante". "Molte persone sono fuori di testa dal punto di vista psichiatrico, per il loro passato difficoltoso, per le condizioni che trovano qui e per come sono costretti a vivere". E la chiamano accoglienza.

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