Valtellina regno dell'arte dalla preistoria al '900

Le incisioni rupestri di Grosio ricordano Giacometti. I dipinti di Usellini a Sondrio sono vicini a De Chirico

Valtellina regno dell'arte dalla preistoria al '900

Sono arrivato a Bormio alle quattro e mezza del mattino, e mi sono immerso nelle calde acque delle terme dei Bagni Vecchi. Poi ho cominciato il mio percorso. Non potevo non andare a vedere il castello di Grosio. Ero stato inseguito, senza saperlo, da due bravissimi giovani che tengono viva quella bella città, Grosio, insieme a Grosotto. I due giovani mi avevano mandato alcune immagini per sollecitare il mio impegno affinché il Parco delle incisioni rupestri fosse accessibile.

Sembra incredibile che l'istituzione pubblica, di fronte a un monumento dell'uomo di quell'importanza, sia distratta. I due giovani chiedevano a me di cominciare a dare un segnale dell'importanza di quel luogo. E quei due giovani, in questo loro impegno, testimoniano la coscienza del Bene, e per questo sono lo Stato, lo interpretano meglio dell'Ente pubblico. Così ho visitato questa roccia con le incisioni che i due giovani supponevano mi fossero particolarmente care. Si vedono immagini di uomini filiformi che sembrano uscite dalla mente di Alberto Giacometti. Per quanto possa aver fatto questo grande scultore, qui Giacometti c'era già, era già passato nel IV millennio a.C. L'uomo che cammina è già qui, su queste rocce. Altrove sono raffigurati due guerrieri, uno dei quali tira una freccia per uccidere l'altro: e si sente una umanità in tensione, una situazione da «homo homini lupus». Non c'è ancora il Dio cristiano che trasforma l'«homo homini lupus» in «homo homini Deus».

Ma la particolarità che avrebbe dovuto, secondo questi amici, stimolarmi più di tutto è che tra queste incisioni c'è la prima rappresentazione mai data dall'uomo di una capra. C'è una capretta, una bellissima capretta che, con la barbetta e le corna, sarebbe stata per me come una parente. Abbiamo visitato anche una sede museale molto ben allestita, imbruttita da un titolo così burocratico che ho dovuto correggerne la denominazione in una più semplice: «Le incisioni del castello di Grosio». Mi chiedo se sia mai esistito un uomo che, guardando una realtà così bella nella natura, abbia esclamato: «Questa è un'area agricolo-paesaggistica», e non, piuttosto, «è un bel paesaggio». Possibile scrivere parolacce cariche di burocrazia come «Area terrazzata», invece di, semplicemente, «terrazza»? E così ho corretto tutto il cartello, un intervento creativo che ho lasciato come testimonianza del mio passaggio.

Una volta data l'indicazione - partito dalla capra - i due amici mi hanno condotto alla chiesa di San Giorgio. Molto mi ha colpito che nella chiesa parrocchiale di Grosotto ci fosse uno dei capolavori della più alta espressione della civiltà del Rinascimento italiano. Si tratta dell'opera di quel pittore così vicino a Michelangelo per avere messo i mutandoni ai nudi del Giudizio universale: Marcello Venusti. L'opera custodita a Grosotto ha uno spirito michelangiolesco, espressione del manierismo: domina la plasticità propria della scultura (caratteristica di Michelangelo) e al contempo un'espressione di estrema dolcezza della Vergine, evidente meditazione su Leonardo; c'è Giuseppe sul fondo e un Bambin Gesù agile che si muove con la torsione plastica propria, ad esempio, del Tondo Doni.

Non pago, ho fatto richiesta di tornare in uno dei luoghi di maggiore forza della Valtellina, dal punto di vista architettonico e decorativo: il santuario di Tirano. Chi entra in quella piazza, con quel santuario, avverte un'enfatizzazione dello stile veneziano di quel Codussi a cui si devono la chiesa di San Zaccaria e altre chiese del primo '500 a Venezia. Qui si notano tre livelli, propri di una architettura monumentale, che all'interno, invece, ha una dimensione molto più contenuta: il santuario celebra l'apparizione della Vergine a un contadino, avvenuta il 29 settembre 1513. Lo vediamo nell'affresco, pressoché coevo all'evento raccontato. La parte artisticamente più rilevante della Chiesa è nell'elaborazione plastica degli stucchi della volta, sculture di metà '500, esemplate sulla scuola lombarda, e in parte anche veneta, quale è possibile riscontrare, per esempio, a Sant'Antonio a Padova. I portali esterni sono testimonianza di un'architettura e una scultura di prim'ordine. Le sculture del santuario sono opera di un maestro che si è formato nelle grandi botteghe lombarde e veneziane; che, negli anni in cui Michelangelo è ancora vivo, si misura con la sua autorità e la sua forza espressiva.

Tra le cose formidabili della grande scultura tra Brescia e Bergamo, c'è l'organo della basilica della Madonna di Tirano, opera dello Scalvini. Vedete la meraviglia di questa grande macchina, che si misura con quella di Grosio, dove c'è un altro formidabile pulpito con intaglio ligneo, che apre, intorno al 1650-60, la strada alle più importanti testimonianze di intaglio del Bresciano, della scuola dei Fantoni, considerate passaggi fondamentali dell'arte plastica del tardo Barocco.

Non è possibile lasciare la Valtellina senza vedere il più importante palazzo del Rinascimento dell'Italia del Nord, insieme a Palazzo Vertemati di Chiavenna. È il Palazzo Besta di Teglio, di complessa architettura, che peraltro all'interno ha una serie di cortili a doppia loggia con affreschi straordinari. I cortili sono espressione del più puro Rinascimento, in un dialogo perfetto con Bramante e con la cultura rinascimentale lombarda; all'interno ha decorazioni che continuano il percorso architettonico, per esempio i fregi dell'architrave. Gli affreschi riportano anche la data, 1571. Non sono di alta qualità, ma fanno parte di una importante e vasta decorazione.

E infine Sondrio. Quando penso a Sondrio, più che ai musei e alle cose significative, penso a un artista che ha intercettato il cuore e la sensibilità di mia sorella, la quale è una donna tanto determinata, tanto forte, tanto incisiva quanto fragile e pronta a commuoversi. E tra le cose che più la commuovono c'è un meraviglioso artista che si chiama Gianfilippo Usellini. Quando penso a Sondrio penso alla sala consiliare della Provincia che ha i dipinti di Usellini, che ne costituiscono l'anima. Il pittore ha un rapporto stretto con de Chirico. E ha una così semplice inclinazione per il sogno, per la favola, da trasformare la verità di una semplice giornata grazie a un tocco, un inserto surreale e rendere così i suoi racconti pura poesia. Ecco, mi sembra notevole la presenza nella severa Sondrio di questo straordinario artista onirico in una civiltà artistica, come quella italiana, che ha sommerso, occultato, dimenticato, trascurato i propri surrealisti. Ho visto ieri ad Arona la casa di Usellini davanti al lago Maggiore. Un luogo incantato dove si agitano i fantasmi gentili che hanno fatto compagnia a Usellini. Oggi, in quelle ariose stanze, fra quadri e disegni di un mondo non perduto, stanno sospesi, a continuare il sogno, i castelli in aria, fra le nuvole, di Daniele, nipote del pittore, artista che sente nel suo cuore agitarsi i pensieri dello zio.

Tra i pittori, il più sognatore, il più misterioso, il più poetico, anche in relazione agli altri rari surrealisti italiani, è candidamente Gianfilippo Usellini. Che trasferisce, in grandi tele, i suoi sogni a Sondrio. Estrema testimonianza della ricchezza artistica della Valtellina.

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