Cronaca giudiziaria

35 anni senza Enzo Tortora: ecco perché fu vittima di un "orrore" giudiziario

La malagiustizia segnò la vita dell’amato conduttore televisivo. La figlia Gaia, all'epoca dell'arresto 13enne e oggi vicedirettrice di La7: “Contro mio padre fu anche accanimento mediatico”

35 anni senza Enzo Tortora: ecco perché fu vittima di un "orrore" giudiziario

Vittima della malagiustizia e della gogna mediatica, l’inferno attraversato da completo innocente: sono trascorsi 35 anni dalla morte di Enzo Tortora, la cui vicenda è diventata simbolo dell’errore – o meglio orrore – giudiziario. Amato volto televisivo tra “La domenica sportiva” e “Portobello”, il presentatore genovese fu arrestato alle 4 di notte del 17 giugno 1983 con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Uno choc per l’Italia intera, con la sua foto in manette tra due carabinieri divenuta subito virale: dato letteralmente in pasto all’opinione pubblica sui giornali e in televisione senza alcuna forma di garantismo.

Il caso Enzo Tortora

Le accuse nei confronti di Enzo Tortora si basavano sulle dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso, Pasquale Barra e di altri otto imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata creata da Raffaele Cutolo. L’inchiesta prese il via all’inizio del 1983: secondo quanto affermato da Barra e Pandico, il volto di “Portobello” apparteneva alla Nco con l’incarico di corriere di stupefacenti. Addebiti pesantissimi, che portarono all’arresto nel corso di un'operazione diretta dalla Procura di Napoli per l' esecuzione di 856 ordini di cattura.

Enzo Tortora si disse subito innocente, nonostante le tante testimonianze. Il presentatore tv urlò la sua estraneità alla vicenda e scrisse numerose lettere. Dopo sette mesi in cella, ottenne gli arresti domiciliari. Eletto eurodeputato con i Radicali nel giugno del 1984, Enzo Tortorà torno in libertà un mese più tardi e annunciò che avrebbe chiesto all’Europarlamento di concedere l'autorizzazione a procedere nei suoi riguardi.

Il genovese fu rinviato a giudizio e nel febbraio del 1985 comparve davanti ai giudici del tribunale.“Sono innocente”, la sua versione contro le accuse dei camorristi pentiti. La sentenza di primo grado del 17 settembre fu uno choc: condanna a dieci anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. A rovesciare il verdetto, un anno più tardi, la Corte di appello di Napoli: assoluzione con formula piena. “È la fine di un incubo”, la gioia di Tortora. Il 13 giugno 1987 la Cassazione confermò definitivamente la sua innocenza.

Giustizia dopo quattro anni difficili, di gogna mediatica e di accuse pesanti. Visse gli ultimi mesi da uomo libero: l’ultimo intervento pubblico nella trasmissione “Il testimone” di Giuliano Ferrara, che documentò per la prima volta la sua vicenda giudiziaria. Enzo Tortorà morì il 18 maggio del 1988 per un cancro ai polmoni all’età di 60 anni.

“Contro mio padre fu anche accanimento mediatico”

“Non mi sono mai spiegata l'accanimento mediatico che è stato messo in atto quando è stato arrestato: una certa informazione ha contribuito a stroncarlo”, le parole a Italpress di Gaia Tortora, figlia di Enzo e vicedirettrice del Tg La7. Tredicenne all’epoca dell’arresto, la giornalista ha ricordato il padre come un uomo normale e come un grandissimo professionista, rimarcando che la storia del padre potrebbe essere la storia di tanti italiani: "Ce ne sono tanti di errori giudiziari, anche se in questo caso faccio fatica a chiamarlo così.

A forza di parlare di malagiustizia, ho capito che nel caso di papà si è trattato di accanimento".

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