Persino Attilio Befera, numero uno dell'Agenzia delle Entrate, ha ammesso che la crisi economica e l'eccessiva pressione fiscale hanno generato una sorta di evasione di sopravvivenza. Tesi sposata anche dal piddì Stefano Fassina, ora viceministro dell'Economia nel governo Letta. Addirittura certi giudici hanno graziato un imprenditore che non aveva potuto pagare l'Iva perché rischiava il fallimento. Tre episodi emblematici che dimostrano che qualcosa sta cambiando nel pensiero progressista di bieca persecuzione nei confronti di crea ricchezza. Purtroppo ci sono ancora schiere di politici, pensatori ed economisti pronti a fare della caccia all'evasore una vera e propria bandiera. Tra questi anche il ministro all'Integrazione Cecile Kyenge che, intervenendo a un convegno su cittadinanza e integrazione a Roma, ha detto che il nemico non è l'immigrato, ma appunto l'evasore.
Gli slogan della Kyenge sono sempre gli stessi. E il fine ultimo è sempre quello di andare a mettere mano alle politiche migratorie che vigono in Italia per allargare le maglie alle frontiere, cancellare il reato di clandestinità e soprattutto regalare la cittadinanza ai figli di immigrati regolari. Così, sulla scia della tragedia avvenuta al largo di Lampedusa, il ministro è tornato alla carica: "Il nostro nemico non è l’immigrato ma chi non rispetta i diritti delle persone, chi non rispetta le regole e questo non ha né colore né etnia". Quindi l'affondo: "Bisogna spiegare alla gente che ad esempio chi ruba il posto all’asilo non è l’immigrato, che paga le tasse, ma l’evasore". Alla Kyenge, in realtà, non interessa ragionare sul perché in Italia l'evasione, che resta comunque un reato, sia così alta. Non una parola sulla pressione fiscale arrivata a livelli da capogiro. Non una parola sulla recessione e sulla concorrenza dei Paesi emergenti che stanno mettendo in ginocchio i nostri imprenditori. La caccia all'evasore viene usata come un topos per "riabilitare" lo status degli stranieri che vivono in Italia.
Secondo il ministro all'Integrazione, per molto tempo i governi italiani avrebbero "navigato a vista" sulle politiche migratorie. In realtà risale al 2002 la Bossi-Fini, una legge che ha messo i paletti per regolamentare un fenomeno che rischia mettere in crisi tutto il Paese. Legge che viene quotidianamente inficiata dalla magistratura nostrana e che la Kyenge, come tutta la sinistra italiana, vorrebbero smantellare da cima a fondo. Per la titolare dell'Integrazione, infatti, l'immigrazione dovrebbe essere considerata una "opportunità". "Ora occorre cambiare approccio", ha continuato spiegando che il programma del governo Letta è centrato "sui diritti che non escludono i doveri". Su questo, ha precisato, "sono stati dati talvolta dei messaggi sbagliati che possono produrre effetti negativi. Le politiche di repressione hanno avuto un costo elevatissimo, fare una politica di integrazione invece costa poco e arricchisce il Paese".
La Kyenge è, quindi, tornata sul tema della cittadinanza invitando il parlamento a cambiare le norme che ne regolano la concessione: "Integrazione non vuol dire assimilazione, che vuol dire perdere l’identità, ma significa interagire sul territorio: chi arriva porta il suo 'bagaglio' culturale per interagire con la nuova realtà". Quindi lo slogan finale: "Dentro ognuno di noi c’è uno straniero, una donna, un bambino, un anziano, un disabile".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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