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Nella vita contessa, nel cinema regina

Fu attrice e prima donna produttrice in Europa. Il nonno fondò la Mostra di Venezia

Nella vita contessa, nel cinema regina

«Personalmente non ho mai prodotto un film per ragioni anche vagamente politiche, né mi interessava se il regista e i protagonisti fossero di sinistra o di destra, anche se è capitato più spesso che fossero di sinistra, cosa di cui Franco Zeffirelli non perdeva occasione di rimproverarmi».

È morta ieri a 89 anni, dopo una lunga malattia, Marina Cicogna - produttrice cinematografica, fotografa, sceneggiatrice e attrice - «la contessa del cinema italiano» come era stata soprannominata nell'ambiente, non solo perché il cognome continuava con Mozzoni Volpi di Misurata: il padre era l'aristocratico milanese Cesare Cicogna e il nonno materno, per intenderci, era il Conte Giuseppe Volpi che ha creato la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 1932 (lei nacque il 29 maggio di due anni dopo).

Una vita per il cinema, anche nella morte che l'ha colta tranquilla e decisa, com'era lei, sicuramente pure un po' incazzata per il tumore («Una cosa violenta, inattesa, improbabile» aveva detto al Corriere della sera proprio due giorni fa), nella sua casa di Porta Pinciana a Roma, appena svoltato l'angolo di Largo Federico Fellini, a un passo da Via Veneto. E la Dolce Vita lei l'ha fatta veramente, frequentando tutto il bel mondo dell'epoca, come ha ricordato recentemente nell'interessante libro di memorie scritto con Sara D'Ascenzo Ancora spero. Una storia di vita e di cinema (Marsilio), da Luchino Visconti a Gianni Agnelli, da Maria Callas a Onassis oltre ad aver avuto un flirt sia con Warren Beatty e Alain Delon sia con Florinda Bolkan, l'attrice brasiliana che volle fortemente come protagonista accanto a Gian Maria Volontè in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri (appunto uno dei registi più a sinistra del nostro cinema, «quello con cui ho lavorato meglio e perderlo così presto è stato davvero un peccato») con cui, nel 1971, vinse nientepopodimeno che il premio Oscar come migliore film straniero.

Ma, come amava ricordare lei, «al cinema ci andavo già da piccola, a dieci anni avevo già visto I ponti di Waterloo e, soprattutto, poco dopo Duello al sole, poi quando studiavo al Liceo Parini di Milano appena potevo scappavo a chiudermi in una sala cinematografica». D'altro canto nel documentario di Andrea Bettinetti di due anni fa, Marina Cicogna - La vita e tutto il resto, la vediamo quattordicenne, in una foto, quasi abbracciata a David O. Selznick, il produttore di Via col vento, che, ricorda lei, «mi voleva adottare, lui è veramente il padre che io avrei voluto avere».

Il cosmopolitismo come normalità di vita, dopo il Parini, l'università a New York, le puntate a Los Angeles in casa di Barbara Warner che le diceva: «Stasera vuoi cenare con Marlon Brando o con Montgomery Clift?» e infine Roma, la città del cinema dove la madre aveva investito in una società di distribuzione, Euro International Pictures, «un puro caso perché avrebbe potuto farlo nello yogurt...», e dove Marina Cicogna, insieme al fratello Bino morto suicida nel 1971 dopo essere scappato a Rio de Janeiro per uno scandalo finanziario, inizia a distribuire capolavori come Bella di giorno di Luis Buñuel e a produrre, prima donna in Europa, i film di Pasolini (Medea), Rosi (Uomini contro), Patroni Griffi (Metti una sera a cena) fino appunto a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Ma fu una stagione breve, una manciata di anni tra il '68 e il '74, perché, pur lavorando nell'azienda di famiglia, «ero a stipendio e i dirigenti spesso mi osteggiavano, non vollero produrre Il conformista e Ultimo Tango a Parigi».

Un altro capitolo sono le sue relazioni di coppia, la storia famosa con Florinda Bolkan «che era androgina e di una bellezza assoluta» (e a sua volta ieri Florinda l'ha ricordata commossa: «Abbiamo fatto una lunga strada insieme, culturalmente importante. Le sarò sempre grata») e quella con Benedetta lunga quasi 40 anni che le è stata accanto anche in queste ore così dolorose e che porta il suo cognome perché lei, contraria al matrimonio tra persone dello stesso sesso, l'aveva adottata: «A me non è mai venuto neanche in mente di dire io vivo con Florinda, io sono omosessuale. Quando chiudo la porta, sono cazzi miei, faccio quello che voglio. Non ho mai nascosto né esibito tutto questo».

Marina Cicogna era anche questo, una donna forte e libera come poche altre nel mondo del cinema dove è stata la più rispettata forse anche perché era la più temuta. Proprio come la ricorda Lucia Borgonzoni, Sottosegretario alla Cultura: «Donna anticonvenzionale, indipendente e geniale, vera e propria icona di stile, ha vissuto la sua vita professionale, e non solo, all'insegna del coraggio, dell'intraprendenza, della libertà».

Nel maggio scorso l'Accademia del Cinema Italiano, presieduta da Piera Detassis, le aveva conferito il Premio David di Donatelo alla Carriera che lei ha ritirato, nella sua ultima uscita pubblica, con un bellissimo augurio: «Spero che il nostro cinema continui a essere uno dei migliori del mondo».

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