«La lirica in Italia? Grandi talenti, piccole istituzioni»

Gli Stati Uniti sono al capolinea della loro egemonia politico-economica. In compenso, New York rimane la gigantessa delle metropoli culturali. È la più vivace, creativa, folle e affamata. Con perfetto tempismo, è appena arrivato nella Grande Mela, conquistandone un nocciolo vitale, un artista italiano, genovese come Cristoforo Colombo. È Fabio Luisi, 52 anni, professione: direttore d’orchestra. Da settembre, è il direttore principale del Metropolitan, teatro da 300 milioni di dollari d’affari. Sulla carta, risulta la seconda carica, ma di fatto Luisi sta al timone, poiché il direttore musicale James Levine lotta con problemi di salute ed è a lui che cede le consegne. Il nome di Luisi non vi dice granché? Del resto, appartiene alla schiera dei cervelli in fuga, è riservato e anti-proclami, un tipo silenzioso, tutto azione. Senza saltare neanche uno step, è passato dall’orchestra di Graz ai Wiener Symphoniker e ai complessi di Dresda, dopo gli studi fra Austria e Germania. Un direttore così viene alla Scala solo ora, debuttando con i complessi scaligeri la prossima primavera.
Ormai è Lei il grande capo del Met.
«Continuo il lavoro di Jimmy - James Levine -, ma il direttore musicale è lui».
In che termini collaborerà con il Met?
«In agenda c’erano già tre produzioni l’anno per le prossime stagioni, ora si aggiungono i titoli che Jimmy non può seguire; non tutti ovviamente, ne stiamo valutando la distribuzione. Poi seguirò le audizioni degli artisti, avrò una certa forza nelle proposte artistiche, andrò anche alle cene con gli sponsor».
Quando il sovrintendente Le offrì la seconda carica del teatro più potente del mondo, come reagì?
«Francamente non mi aspettavo la telefonata e soprattutto che mi dicesse: “Saresti disponibile?”. Beh, per il Metropolitan...».
Lei a New York, Nicola Luisotti a San Francisco e Riccardo Muti a Chicago. Il meglio degli Stati Uniti è affidato a menti italiane...
«Nonostante ci si lamenti che l’Italia non funziona, nel campo culturale ci sono eccellenze».
Qualcosa, effettivamente non funziona se voi siete là anziché qua. Cosa non funziona nel sistema musicale italiano?
«Non vedo un sistema. Abbiamo insegnati fra i migliori del mondo, idem per allievi, ma operano in autonomia. Montanelli diceva che l’Italia è così così, ma gli Italiani sono il massimo».
E chi è il massimo ma, come Lei, ha mamma sarta e papà ferroviere, va all’estero per sfondare...
«Sono quel che sono grazie al puro lavoro. Nessuno mi ha introdotto. In compenso sono libero».
L’Italia e la meritocrazia.
«Chi lavora, fatica e impara dovrebbe essere un privilegiato. Aiutare i più deboli è giusto se non possono, ma non se non vogliono».
Tenace, disciplinato e preciso. È proprio così come la ritraggono?
«Non mi piace perdere tempo, amo lavorare in modo efficace. E soprattutto in quest’epoca che chiede decisioni immediate».
In settembre ha dovuto lasciare l’Opera di Roma e volare a New York per urgenze. Roma non la prese bene, come siete rimasti?
«Non c’è nessun contenzioso. Mi è spiaciuto, non è da me rinunciare a un impegno preso, ma era un’emergenza. Per il futuro non dovrò cancellare nulla, ho disposto in modo che non accada».
Avrà ancora tempo da dedicare ai Wiener?
«Per il 2012 farò 20 concerti».
Dirigerà il concerto di capodanno al Carlo Felice di Genova. Avrà un significato particolare dati gli eventi di novembre?
«Tutto quello che avviene a Genova è particolare, aldilà dell’alluvione. Il Carlo Felice promuove iniziative importanti, nonostante i mezzi economici sempre più ridotti».
E il futuro non rincuora.
«Quindi bisogna ristrutturare le fondazioni, così non funzionano più».
In febbraio, sarà a Genova per Roméo et Juliette con Andrea Bocelli. Che non a tutti è gradito quando si occupa di opera.

«Bocelli è un artista serio e responsabile. Come tutti gli artisti conosce i propri limiti. A chi storce il naso dico che avvalersi di collaborazioni come questa è una delle strade da percorrere per aiutare l’opera a sopravvivere».

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