«Il mio omaggio a Rota per celebrare l’Italia»

La Chicago Symphony è un’orchestra che buca schermi, cuori, palcoscenici. Vive e prospera (dal 1891) nella città tra le dieci più influenti del globo. Prima era nella rosa delle Big Five, il meglio d’America, ma nel nuovo secolo ha sbaragliato la concorrenza statunitense. È poi un osso duro per i complessi top d’Europa: Wiener e Berliner. La Chicago Symphony Orchestra è attesa per una tournée che inizia a Roma (lunedì 23) e chiude a Ravenna ( il 27) inaugurando il festival musicale della città. In mezzo, ci sono le tappe di Napoli (24) e Brescia (26) dove apre il Festival Pianistico Internazionale. In questa trasferta, iniziata il 18 scorso in Russia, la guida il suo timoniere, tale dal 2010: il direttore Riccardo Muti.
Porta la Chicago in Italia. È la prima volta da quando è direttore musicale. Che effetto le fa?
«Fare musica è importante a prescindere dal luogo. Dirigere nel proprio paese forse suscita affetti e tenerezze. Condurre la Chicago in Italia diventa un fatto culturale: la nostra è una terra di cultura, nonostante le bordate contro di essa che vengono da decenni di storia impietosa».
E per sottolineare l’italianità, ha messo in programma la Suite da Il Gattopardo di Rota. Ma cosa ne pensano gli Americani?
«La suonano con entusiasmo. Con la Chicago si può fare tutto. Ho eseguito il Requiem di Verdi con tante orchestre, ma l’incisione con la Chicago è la migliore, da Grammy appunto».
L’amore per Rota è noto. E per il film di Visconti?
«È un film straordinario, Visconti ha tradotto quel mondo con grande poesia».
Il Festival di Ravenna ha avuto anche la benedizione del Dalai Lama. Pare aver gradito gli appuntamenti con i monaci tibetani, più il Concerto della fraternità che Lei dirigerà...
«Le varie religioni conducono a una sola spiritualità. Come dicono i latini, Grana multa una hostia, molti granelli un’ostia sola».
A proposito della tournée fra Mosca e San Pietroburgo. Qual è il ricordo più folgorante della Russia sovietica?
«Nel 1989 diressi nelle due Berlino. Il pubblico della Berlino Est era ansioso di uscire dalla dittatura, desideroso di libertà. Dopo qualche giorno andai in Russia. Stessa cosa. C’era un ascolto liberatorio attraverso la musica».
Quando tornerà in Russia?
«Nel marzo 2013 sarò a San Pietroburgo con i complessi dell’Opera di Roma».
La Chicago è nota per l’efficienza svizzera. Quante persone si muovono per questa tournée?
«110 musicisti e uno staff di 15 persone: poche ma efficientissime. Con noi viaggiano anche i 50 patron, che sponsorizzano l’orchestra e la seguono a proprie spese»
Cosa le piace di Chicago?
«È la più bella città d’America. Dalla mia casa vedo il lago, la lunga spiaggia, gente che fa sport, è piena di vitalità. Pulitissima».
Come si sta nell’America che arranca?
«Si avverte la difficoltà finanziaria, con ripercussioni anche sulla cultura. Alcune orchestre faticano, il caso di quella di Philadelphia. Però, alla Chicago sono aumentati gli abbonati».
Come avverte, invece, l’Italia degli esodati e disoccupati?
«Il problema della disoccupazione mi angoscia. Il lavoro è un diritto, non possiamo permetterci una disoccupazione così alta, soprattutto giovanile e soprattutto al sud. Spero che chi è alla guida del Paese possa risolvere il grave problema. Amo il mio Paese che rimane il più bello del mondo. Il paradiso non esiste da nessuna parte, non flagello l’Italia, anzi mi arrabbio con quelli che sputano contro il Paese, e soprattutto se non sono italiani».
A Brescia inaugura il Festival intitolato a Arturo Benedetti Michelangeli, il più grande pianista del secolo scorso. Lo conobbe?
«No, ma rimane unico.

A inizio carriera diressi il pianista Richter a Genova, faceva il concerto per la mano sinistra di Ravel. Gli dissi, “Slava, perché non facciamo anche l’altro concerto?”. Mi rispose che già lo suonava Michelangeli, era meglio evitare».

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