Baryshnikov: «Adesso ballo con la macchina fotografica»

L'artista nel nostro Paese: "Traduco le emozioni in immagini". Scappò dalla Russia senza tornare: "Non ne vedo il motivo"

Baryshnikov: «Adesso ballo con la macchina fotografica»

Il ballerino Mikhail Baryshnikov ha rivoluzionato la danza. Per farlo, scappò dall'URSS profittando di una tournée canadese del Bolshoi. Correva il 1974, epoca Leonid Breznev. Lui era un giovanotto di 26 anni: spirito libero, dinamico, smanioso di novità. Nato e cresciuto in Lettonia ma troppo geniale per rimanervi (o potervi rimanere): San Pietroburgo e Mosca non permettevano certo che capitale umano di tale fattura brillasse nei Paesi satelliti. Fu così che approdò al teatro Marinskij di San Pietroburgo rimanendovi per dieci anni. In questa città così «imbevuta della vostra arte, ovunque c'è traccia italiana, penso a Quarenghi, Rossi, Rastrelli... mi innamorai subito dell'Italia», ci confessa Baryshnikov che l'8 giugno sarà a Venezia per una mostra personale di fotografie. Dal 27 maggio al 30 ottobre, la Galleria Contini espone 34 fotografie di questo artista eclettico che ama vivere la danza anche attraverso le lenti di una macchina fotografica.
Quanto alla Venezia del Nord, San Pietroburgo. Lì, Baryshnikov si era formato in una compagnia di danza sopraffina, quella del leggendario Kirov appunto, però chiusa alle novità che avrebbero alimentato la carriera di questa stella di prima grandezza della danza classica e poi paradigma di tecnica assoluta della danza moderna. La sua anima progressista trovò terreno fertile negli Stati Uniti, dove tutt'ora vive, sbocciando fra il New York City Ballet e l'American Ballet Theater (che diresse per anni).
Nella danza, Baryshnikov ha sondato tutto ciò che era esplorabile lavorando con George Balanchine ma allo stesso tempo a Broadway e Hollywood al fianco di Liza Minelli con la quale confezionò uno spettacolo per gli Emmy-Award della televisione. È imprenditore culturale, ha fondato la compagnia White Oak Dance Project e il Baryshnikov Arts Center, un centro creativo nel cuore di Manhattan pensato per artisti emergenti. È pure attore, di teatro (In Paris), cinema e tv: «In Sex and the City mi sono divertito molto. Gli attori erano veramente in gamba», racconta. Altri progetti per il piccolo e grande schermo? «Mi sono arrivate altre proposte ma il cinema è troppo impegnativo, assorbe tempo che non ho: non posso pensare di dedicare più di mezzo anno alla realizzazione di un film», spiega. In compenso, ora crede sempre più nella fotografia.
La mostra veneziana, Dance This Way, è centrata sul ballo. Soggetto naturale per un uomo che di nome fa Baryshnikov? Non proprio. Per anni si è dedicato a paesaggi e ritratti, in particolare dei propri figli ed amici, poi capì che l'aver vissuto sulla propria pelle la danza avrebbe reso quegli scatti unici. E così è stato. «Cerco di essere un ballerino anche quando guardo la danza attraverso le lenti della macchina fotografica. L'idea è quella di tradurre le emozioni della danza e non gelide immagini», osserva. Così, sagome di corpi in movimento, vibratili un po' alla maniera futurista, sembrano emergere da un pulviscolo di colore, senza perdere in nitidezza. Baryshnikov ben volentieri espone i suoi lavori a Venezia, «è la città italiana che più amo e mi emoziona. È un luogo addormentato, d'incanto, dove torno sempre volentieri anche perché lì poi incontro sempre un amico poeta. Ma in generale devo dire che con l'Italia fu amore a prima vista». La danza in Italia? «Non ho ballato da voi, quindi non ho un'esperienze diretta. Sicuramente avete avuto grandi artisti come Carla Fracci o Roberto Bolle. Per non parlare di Alessandra Ferri: uno dei vostri migliori "prodotti" dì esportazione».
Dal 12 luglio, al Festival di Spoleto, Baryshnikov sarà attore al fianco di Willem Dafoe (il cattivone di Spiderman) in The Old Woman: pièce di Robert Wilson tratta dal racconto di Daniil Kharms, letterato che non sopravvisse alle forche caudine sovietiche. «Era un artista coraggioso, troppo moderno per il realismo sovietico», dice Baryshnikov. Che in Russia non vi ha più messo piede, «non perché non possa, ma perché mancano le vere ragioni per andarci. Mi sento un po' americano e un po' russo.

Ammetto di essere scettico sul futuro della Russia, la considero un grande Paese, abitato da un grande popolo che si meriterebbe il meglio e questo non sta accadendo». Il caso dell'Italia? «Proprio, e non è la prima volta neppure per voi...», chiosa. La Russia è ancora la culla della danza? «Nulla da eccepire sulla qualità di ballerini e compagnie, ma non vedo coreografi di peso».

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