«La nostra lirica è vecchia È ora che si metta a fare i conti col mercato»

«La nostra lirica è vecchia È ora che si metta a fare i conti col mercato»

Ricordate Damiano Michieletto, il regista che quest'estate ha furoreggiato al festival musicale di Salisburgo? Non si parlò d'altro che della sua Bohème. Con l'esito che Alexander Pereira, il sovrintendente, questa settimana l'ha rinvitato per la prossima edizione. Così, in pieno anno verdiano, un mese dopo il debutto alla Scala con Un ballo in maschera (luglio 2013), Michieletto tornerà a Salisburgo per Falstaff diretto da Zubin Mehta. È lui, 37 anni, veneziano, la novità della regia italiana, l'unico capace di riletture in chiave moderna. Lo abbiamo sentito da Vienna dove il 10 debutta con Trittico di Puccini.
Dopo Salisburgo sono fioccati nuovi ingaggi?
«Da Vienna, Staatsoper compresa, ho avuto tre proposte per il 2014. Mi hanno poi chiesto di tornare a Tokyo. Per i prossimi anni sarò molto impegnato, una nuova produzione all'Opera di Parigi nel 2014, Guglielmo Tell al Covent Garden di Londra, poi Valencia, Madrid, Copenhagen...»
E di nuovo a Salisburgo. Bel colpo. Come ha reagito?
«È un piacere sentire che è stata riposta fiducia in me. Dopotutto torno dopo uno spettacolo che ha raccolto successi ma non esente da critiche».
Come le ha prese?
«Lì per lì si sta male. Ma conta farne tesoro. In Italia, dopo anni, la gente e i critici ti conoscono, e tutto diventa prevedibile. Lavorare all'estero porta a confrontarsi con altri gusti.
A proposito di previsioni. I tradizionalisti scaligeri devono temere per il suo Ballo in maschera?
«È un progetto innovativo, ma rispettoso della drammaturgia di Verdi. Racconto la storia di un politico contemporaneo che vive il conflitto tra sfera privata e pubblica».
Un politico in particolare?
«Non c'entrano le nostre dinamiche nazionali. È la storia di politico occidentale durante la sua campagna elettorale. Ha bisogno del consenso, solleva fanatismi... Però quando si spengono i riflettori, fa i conti con la dimensione privata».
Prima di essere una celebrità internazionale, ha conosciuto una lunga gavetta...
«Nel Duemila, per il mio primo spettacolo, guadagnai 100 mila lire. È giusto che sia così. Come è giusto fare subito il proprio lavoro con passione, anche nell'angolo più sperduto del mondo. Poi guai a non cogliere al momento giusto le opportunità».
Che idea si è fatto dei teatri di casa nostra?
«I teatri sono lo specchio di come viviamo. Noi italiani troppo spesso non assumiamo la responsabilità dei nostri comportamenti. I teatri lamentano la mancanza di denaro, ma il problema sta spesso nella sua cattiva gestione. La crisi dovrebbe portarci a rivedere schemi, cambiare coordinate e trovare soluzioni. Non è possibile che i costi fissi di un teatro incidano sul bilancio per l'80% e la parte artistica per il 20%, si arriva alla paralisi».
Dicono che i costi della regia pesino non poco.
«Un teatro dovrebbe decidere quanto spendere per uno spettacolo. Io chiedo sempre qual è il budget a disposizione. Non è possibile chiamare le star, poi andarsene lasciando un teatro con i conti in rosso».
A proposito di sovrintendenti che creano buchi di bilancio...
«Appunto. Con che criterio sono scelti? Non quello meritocratico. La politica deve smetterla di entrare nei teatri. Poi bisogna avere il coraggio di affidare ruoli dirigenziali a trentenni e quarantenni. Il direttore artistico del Covent Garden ha 35 anni, e anche per la sua età ha un altro mondo di porsi, quando parlo con lui avverto un'altra prospettiva...».
Sovrintendente tipo?
«Un manager che sappia gestire l'azienda teatrale facendo fruttare le risolse umane, con l'idea chiara che si sta producendo per un pubblico e si devono fare incassi. Poi calibra lo spettacolo sul budget a disposizione».
È tentato dal cinema?
«Chi non lo è, è il sogno di tutti. A volta parlo con amici del mio paese che non vanno a teatro e quindi si lamentano di non conoscere il mio lavoro. Però vanno al cinema. Così, scherzando dico sempre, “dovrei fare un film per arrivare a voi”».


Le è pesata la provincia, crescere nella piccola Scorzé?
«Sappiamo tutti quali sono i limiti della provincia, comunque alleggeriti dai nuovi mezzi di comunicazione. Nascere a Scorzé mi fa rimanere coi piedi per terra. Anche per questo, continuo a viverci (con moglie e due bimbi di 5 e 10 anni Ndr

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