«Come si salva la musica? Basta renderla seducente»

«Come si salva la musica? Basta renderla seducente»

La casa discografica Decca ritenta il colpo: finire nuovamente nelle classifiche pop con dischi di musica classica. E punta sul cavallo vincente della scuderia, il direttore d'orchestra Riccardo Chailly: l'artista che fa vendere di più (in Decca). Lo dicono i numeri, gli ultimi 5 dischi hanno stazionato per 60 settimane nella classifica pop. Alla testa dell'orchestra del Gewandhaus di Lipsia, quindi il complesso più antico del mondo, Chailly ha inciso l'integrale delle Sinfonie di Brahms, più rarità. Un cofanetto pubblicato in questi giorni e battezzato giovedì a Lipsia con il primo dei concerti che presto faranno tappa nelle città che più contano nel mercato musicale (manca dunque l'Italia): Londra, Parigi e Vienna.
Chailly da 8 anni guida l'orchesta del Gewandhaus. Prima fu 16 anni ad Amsterdam, 9 a Berlino, ma pure a Milano, al timone della Verdi, la città dove è nato 60 anni fa, si è formato ed è atteso. Guida infatti la terna dei candidati eccellenti alla direzione musicale della Scala, insieme a Daniele Gatti e Fabio Luisi. Il futuro sovrintendente, Alexander Pereira, scioglierà le riserve entro l'anno. Tanti segnali portano comunque a Chailly, a un passo dalla nomina già una decina d'anni fa, dopo il divorzio Scala/Muti. Alla fine, la spuntò Daniel Barenboim.
Che dice di questo totodirettore?
«La Scala ha tempi e progettazioni da Vaticano... Il mio rapporto con l'orchestra è buono ed è cresciuto con gli anni. Ho diretto per la prima volta alla Scala nel '78, chiamato da Abbado, in sostituzione di Gavazzeni. Da allora ho sempre partecipato alle stagioni scaligere. Sono felice che ci sarà Pereira».
Cosa la rassicura del futuro sovrintendente?
«La preparazione e le competenze professionali. È comunicativo, ama il pubblico e si sente responsabile di portare emozioni in teatro».
Teatro che dovrebbe tornare a incidere, giusto?
«È un teatro splendido ma non ha i connotati di una sala d'incisione. Tuttavia si potrebbe registrare nell'Auditorium di Milano. Lo abbiamo già sperimentato con la Filarmonica della Scala. I dischi hanno anche un valore mediatico, non si può trascurare questo aspetto».
Da un'indagine Ocse, risulta che gli italiani hanno scarse competenze alfabetiche. Come ce la caviamo in musica? Come è il pubblico?
«Ama partecipare ai progetti, si muove, ascolta. Il problema semmai risiede nell'indifferenza che alcune istituzioni mostrano per gli spettatori. Le responsabilità sono di chi gestisce un ente e non lo rende sufficientemente comunicativo e aperto. Simon Rattle, con i Berliner, ha fatto di tutto per uscire dalle convenzioni, per dimostrare che la cultura non va associata solo al dolore e al sacrificio, ma anche alla gioia. Lo feci pure io con l'Orchestra Verdi. Non capisco perché non si potrebbe fare con altre istituzioni...»
Cosa ci si aspetta, in Germania, da un direttore mediterraneo?
«La luce. Effettivamente abbiamo la fortuna di crescere in un Paese solare».
Cosa continua ad affascinarla dell'Orchestra del Gewandhaus?
«L'identità del suono: inequivocabile, sempre quello, prima e dopo la caduta del muro di Berlino. Poi il fatto che si lavori con disciplina e serenità».
Le orchestre italiane sono disciplinate?
«Più di quel che si dice e pensa. Certo, c'è un altro tipo di disciplina. Qui a Lipsia, se tardo ad arrivare sul podio anche solo d'un minuto, sento quel silenzio gelido che fa capire quanto sia gradita la puntualità.

Cerco infatti di spaccare il secondo».
Il suo concerto in piazza Duomo, a Milano, con Stefano Bollani, è stato seguito da 50mila persone. Inciderà ancora con Bollani?
«Se accadrà, sarà tra parecchi anni. Ci stiamo pensando».

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