«Troppi politici nei teatri Alla lirica servono manager»

«Troppi politici nei teatri Alla lirica servono manager»

È la cantante italiana - mezzosoprano per l’esattezza - più nota al mondo. Dici Cecilia Bartoli a New York, Singapore, Sydney o Stoccolma e in tanti sanno chi sia. Il segreto del successo? Si parte dalla materia prima, l’ugola. A questa si aggiunge l’istinto imprenditoriale. Perché la Bartoli sa sempre dove, quando e cosa cantare traendo, poi, la massima redditività. In Italia canta poco o niente. Lei spiega che la contattano tardi, quando in agenda non c’è più un buco. In realtà la Bartoli applica un tariffario che sbianca i visi, cachet sui quali non ama discutere: prendere o lasciare. Ha detto sì Roma, la città dove è nata, nel 1966, e cresciuta. Qui, al Parco della Musica, il 5 aprile terrà l’unico concerto italiano del 2012, l’ha invitata l’Accademia di Santa Cecilia. In programma, vi sono le arie del suo penultimo cd Decca, Sacrificium, incisione che le ha guadagnato un Grammy. La Bartoli è nella top ten degli artisti di classica. E la Decca se la tiene ben stretta.
Con Sacrificium è andata a scovare arie di castrati. Cosa ci riserva con il prossimo cd?
«Ci sto lavorando e sarà pronto in autunno. Ma, fino all’ultimo, bocca cucita».
Così crea suspense. Lei - del resto - potrebbe scrivere un manuale sulla gestione di una carriera.
«Mi è sempre piaciuto creare programmi innovativi e originali. L’ho fatto per me e quando da Salisburgo mi hanno offerto la direzione artistica del Festival di Pentecoste (ndr 25-28 maggio) ho accettato al volo».
Sarà la prima donna a dirigere il Festival più chic d’Europa. Prima di lei c’erano Muti e von Karajan. Bel colpo.
«Il fatto di subentrare a soli uomini, per giunta direttori, e che direttori, mi fa un certo effetto. Ammetto».
A Salisburgo inviterà l’altra diva del momento, Anna Netrebko. Ma un tempo le dive non bisticciavano?
«Invece noi ci frequentiamo. Ha una bellissima voce quindi la volevo al mio Festival. Ci saranno solo i migliori direttori e cantanti, artisti che poi non esportano lo stesso programma altrove: ho chiesto l’esclusiva. Altrimenti che Festival sarebbe».
C’è anche una bella rappresentanza italiana.
«Credo nel Made in Italy. Noi dobbiamo smetterla di essere esterofili. Dobbiamo credere di più nelle nostre possibilità».
Però lei ha un sito in quattro lingue, escluso l’italiano, e vive a Zurigo da anni.
«Mio marito è svizzero e lavoro spesso per il teatro di Zurigo».
Vero che tornerà alla Scala fra il 2013 e 2014?
«Sono in corso le trattative per un’opera. Si sta discutendo proprio sul titolo».
Se le chiedessero di dirigere un teatro o festival italiano?
«Accetterei ma a certe condizioni».
Sentiamo.
«Un giorno il direttore Sinopoli mi disse che gli avevano chiesto di condurre il teatro di Roma. Lui era disposto, ma a patto che potesse licenziare tutti riprendendo gente nuova ripartendo da zero. Probabilmente la strada è proprio questa: fare un po’ di pulizia generale. Purtroppo ci sono troppi diritti acquisiti, meccanismi che non funzionano».
Magari i teatri dovrebbero essere condotti con maggior spirito manageriale, non crede?
«Ha detto bene: i teatri hanno bisogno di veri manager. Abbiamo visto troppi politici che non avevano idea di come si dirige un teatro. Questo ha creato grossi deficit».
Che tipo di sovrintendente ha in testa?
«Come si è detto, deve avere conoscenze manageriali. Poi deve essere il primo ad arrivare in teatro e l’ultimo ad andarsene. Solo così, con una presenza assidua, si riesce ad avere la situazione sotto controllo risolvendo i problemi di volta in volta».
Facciamo un nome, un esempio in carne ed ossa.
«Alexander Pereira. È stato a Vienna, quindi a Zurigo rendendo il teatro veramente internazionale, ora a Salisburgo. È un manager e in più ama e conosce la musica».


Cosa sente di dire, in tema di teatro d’opera, al nuovo Governo?
«Che i problemi della lirica non si risolvono chiudendo, ma aprendo i teatri. Il resto è un mantra: più musica nelle scuole per creare il pubblico del futuro».

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