Chi è Carlo Maria Viganò, l'arcivescovo scomunicato per scisma

Dalla carriera in Segreteria di Stato alla guerra dei corvi con Bertone: la storia del presule divenuto punto di riferimento per i complottisti

Chi è Carlo Maria Viganò, l'arcivescovo scomunicato per scisma

Finisce nel peggiore dei modi la carriera ecclesiastica di monsignor Carlo Maria Viganò. La scomunica latae sententiae decisa dal dicastero per la dottrina della fede segna il culmine delle tensioni tra l'arcivescovo lombardo e la Curia romana di cui è stato servitore per decenni. Un finale inevitabile dopo che, convocato dall'ex Sant'Uffizio, Viganò aveva rifiutato il giudizio dichiarando di non riconoscere "l'autorità nè del tribunale che pretende di giudicarmi, nè del suo prefetto, nè di chi lo ha nominato". Dunque, il presule aveva rivendicato la decisione di rifiutare la comunione con e sotto il Pontefice regnante, mettendosi nella condizione di ricevere una condanna per scisma. Un finale inaspettato almeno fino al 2018, l'anno in cui Viganò scrisse il famoso dossier che accusava pubblicamente Francesco per la gestione del caso McCarrick, l'ex cardinale statunitense incriminato per abusi.

Una carriera al vertice

Come testimoniato dalla reazione del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato e numero due della Santa Sede, la figura di Viganò ha rivestito un ruolo importante nella storia contemporanea della Curia. Parolin, appresa la notizia del processo aperto dal dicastero, aveva detto: "Dispiace tantissimo, perché io l’ho sempre apprezzato come un grande lavoratore e molto fedele alla Santa Sede. Era un esempio, anche quando è stato nunzio apostolico ha lavorato estremamente bene. Cosa sia successo, non lo so”. Il prelato ora dichiarato scismatico è stato uno degli allievi della prestigiosa scuola della diplomazia vaticana, la Pontificia Accademia Ecclesiastica. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1973, il presule varesino lavorò presso le Rappresentanze Pontificie in Iraq e in Gran Bretagna, prima dell'arrivo in Segreteria di Stato nel 1978. A Palazzo Apostolico, insieme all'attuale cardinale Leonardo Sandri, fu segretario del Sostituto fino al 1989. Il 26 aprile 1992 la consacrazione ad arcivescovo titolare della diocesi di Ulpiana da parte di San Giovanni Paolo II. Negli anni successivi Viganò ha accresciuto il suo peso in Segreteria di Stato nell'incarico di Delegato per le rappresentanze pontificie nel corso del quale ha collaborato con suo nipote, monsignor Carlo Maria Polvani.

Traguardi sfumati

La carriera al vertice della Curia di monsignor Viganò lo ha visto spesso sfiorare incarichi di massimo prestigio. Nel 2002, ad esempio, finì nel toto-nomi per la successione del cardinale Carlo Maria Martini. Alla fine, però, gli venne preferito Dionigi Tettamanzi. Nel 2009 il trasferimento dalla Segreteria di Stato, dove malsopportava il cardinale Tarcisio Bertone, ai vertici del Governatorato come segretario, con la concreta speranza di succedere due anni più tardi al cardinale Giovanni Lajolo ed essere premiato presumibilmente con la porpora. Non andò così però perché i rapporti tesissimi con Bertone e l'apertura della stagione dei corvi in Vaticano interruppe già nel 2011 la sua permanenza al Governatorato, con la nomina a nunzio apostolico negli Stati Uniti. Una destinazione prestigiosa nel più classico dei "promoveatur ut amoveatur”. Dopo il suo allontanamento dal Vaticano emersero le guerre intestine, con la pubblicazione di due lettere che ai tempi in cui era Segretario del Governatorato il presule varesino inviò al Papa per denunciare presunti ammanchi e operazioni sospette. Denunce bollate da una nota della Presidenza del Governatorato come "frutto di valutazioni erronee, o si basano su timori non suffragati da prove, anzi apertamente contraddetti dalle principali personalità invocate come testimoni".

Disagio nel nuovo pontificato

Alla fine del pontificato di Benedetto XVI, nonostante il tramonto della stagione bertoniana in Segreteria di Stato, la carriera di Viganò si fermò a Washington. Nel 2018, finito l'incarico di nunzio da due anni, Viganò risalì di nuovo alla ribalta mediatica con la diffusione di un dossier che denunciava la condotta di Francesco su Theodore McCarrick, cardinale abusatore che ai tempi di Benedetto XVI ricevette l'ordine (non rispettato) di ritirarsi in preghiera e che dopo il 2013 - scrisse il presule varesino - "sciolto da ogni costrizione, si era sentito libero di viaggiare continuamente, di dare conferenze e interviste. In un gioco di squadra con il cardinale Rodriguez Maradiaga era diventato il kingmaker per le nomine in curia e negli Stati Uniti ed il consigliere più ascoltato in Vaticano per i rapporti con l'amministrazione ai tempi di Obama". L'accusa piombò sul Papa nel corso di un viaggio in Irlanda.

Negli anni successivi le posizioni di Viganò si sono via via estremizzate sia dal punto ecclesiastico che dal punto di vista politico. Nei video diffusi sui suoi canali social, l'ex nunzio ha cominciato a scagliarsi contro quello che ha definito "il piano infernale del Nuovo Ordine Mondiale" e a mettere in discussione la legittimità del Pontefice regnante, chiamandolo addirittura "usurpatore argentino".

Infine gli attacchi al Concilio Vaticano II e alla Messa dopo la riforma liturgica di Paolo VI, con il sospetto persino di una riconsacrazione episcopale ricevuta dall'ex lefebrviano Richard Williamson. Un processo di estremizzazione che ha portato l'arcivescovo alla scomunica annunciata oggi.

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