Hanno fermato la destra del Rassemblemant National, ma hanno anche chiuso la porta in faccia alla governabilità e alla democrazia. Da ieri sera la Francia è un paese paralizzato incapace di darsi un esecutivo che non coinvolga la sinistra estremista e antisemita della «Francia Indomita» (La France Insoumise) di Jean Luc Melenchon. «Il voto non risponde alla domanda su chi governerà», confermavano ieri sera fonti dell'Eliseo dove il presidente Emmanuelle Macron era riunito con ministri e collaboratori per analizzare le possibili alleanze di governo. Prima di tutte quelle con una sinistra ripulita dai deputati di Insoumise e con quei repubblicani gollisti rimasti lontani dal Rassemblemant National.
Ma i numeri sono assai risicati. Dietro il clamoroso risultato del «Nuovo Fronte Popolare» che porta all'Assemblea Nazionale dai 187 ai 198 deputati e s'impone come prima formazione si celano i circa settanta seggi «marci» conquistati dagli uomini di Melenchon. In questo pallottoliere i 161-169 seggi dei macroniani uniti al centinaio di voti del «Nuovo Fronte Popolare» ripuliti dagli impresentabili di Melenchon non basterebbero a raggiungere la maggioranza assoluta. Il tutto in un'Assemblea dove la France Insoumise a sinistra e il Rn a destra saranno garanzia d'opposizione spietata. Per non parlare dell'enigmatica posizione di un Mélenchon che da una parte reclama la guida del governo e dall'altra promette una guerra a tutto campo a Macron. «È sconfitto ora basta scuse - ripeteva ieri sera - siamo pronti a governare i francesi hanno votato secondo coscienza e abbiamo vinto». Ora però il problema non è l'aritmetica, ma la politica. Dal punto di vista istituzionale Macron è costretto ad affidare al «Nuovo Fronte Popolare» la formazione del nuovo governo. Il problema è però chi sia veramente il leader di quella formazione. E soprattutto quale sia la vera natura dell'alleanza che ha coagulato i voti della sinistra francese.
Dietro l'immagine moderna e rassicurante dell'intellettuale socialista Raphael Glucksmann, leader di facciata di Nfp, si nascondono le posizioni filo-Hamas e tendenzialmente antisemite di Melenchon e dei suoi. Una pattuglia dell'estremismo di sinistra con cui Macron ripete di non poter convivere. «Melenchon non può fare il primo ministro», ha ripetuto ieri sera il ministro degli esteri in carica Stephane Sejourné, fedelissimo del Presidente. E lo stesso Glucksmann avrebbe, probabilmente, seri problemi a concordare un programma comune con l'alleato. «L'assemblea è divisa, comportiamoci da adulti», ha detto ieri sera il leader socialista. Dunque all'Eliseo ci si prepara a settimane di negoziati il cui obbiettivo è una coalizione di unità nazionale capace di far convivere i socialisti di Glucksmann, i Repubblicani su posizioni tradizionalmente golliste e i deputati di Ensemble fedeli al presidente. In tutto ciò i primi a restare con l'amaro in bocca sono Jordan Bardella e Marine Le Pen. Dopo tante battaglie s'erano convinti di aver finalmente esorcizzato l'ultra-ventennale «diabolisation». Invece no. La demonizzazione del loro movimento funziona ancora. Soprattutto se accompagnata da un formidabile «catenaccio» elettorale. L'eccezionale affluenza accompagnata dal ritiro di oltre 200 candidati macroniani e di sinistra che rischiavano di neutralizzarsi a vicenda ha fermato il Rassemblement National e i suoi alleati a quota 135-143.
«Ha vinto l'alleanza del disonore», ha detto Jordan Bardella commentando un risultato ben inferiore ai sondaggi che alla vigilia del ballottaggio attribuivano ad Rn almeno 230 seggi. Come si sa, però, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi.
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