Bellezza, una parola che racchiude un mondo. Darne una definizione è pressoché impossibile, visto che la sua percezione nasce dalla sensibilità di ognuno. Esiste però il concetto di "bello" che al contrario è universale, e si declina in moltissimi modi. Se la bellezza umana è una sensazione, un sentimento personale, quella dell'arte è unanimamente riconosciuta. Tra le meraviglie artistiche amate in tutto il mondo, la Venere di Milo, una delle più famose sculture dell'arte ellenica, è sicuramente quella che suscita più emozione.
Definita “Nostra signora di bellezza”, dal poeta tedesco Heinrich Heine, la statua è considerata una delle rappresentazioni per eccellenza del fascino e dell'armonia femminile e proprio come questa, anche lei è avvolta nel mistero, ad iniziare dalla sua scoperta.
Il ritrovamento
Fu il contadino Yorgos Kentrotas a trovarla l'8 aprile del 1820, mentre scavava nei pressi di un antico teatro sull'isola di Milo, nell'arcipelago delle Cicladi sud-occidentali, alla ricerca di pietre per rinforzare la recinzione del suo campo. Alla vista del busto ne rimase affascinato, in quell'estasi che ancora oggi coglie chiunque la ammiri al museo del Louvre, a Parigi, dove è esposta.
Da qui le versioni storiche differiscono, ma la più accreditata racconta che la statua, poco dopo, finì nelle mani dei militari turchi e solo per un caso Olivier Voutier, un ufficiale della marina francese che stava facendo una ricognizione idrografica nel Mar Egeo, la vide e ne comprese immediatamente il valore. Riuscì però ad acquistarla solo grazie all'intermediazione del marchese de Rivière, all'epoca ambasciatore francese di Costantinopoli, che la regalò al re di Francia Luigi XVIII, che a sua volta la donò al Louvre nel 1821, con il desiderio che tanta bellezza dovesse essere ammirata da tutti.
La difficile identificazione
Mistero la sua scoperta, ma anche la sua realizzazione e l'identità della donna. La composizione della statua è a spirale, e si presta ad essere osservata da diverse prospettive. È stata costruita partendo da due blocchi di marmo separati, fissati da sostegni verticali. Alcune parti, come come il busto, le gambe, il piede e il braccio sinistro, sono state scolpite separatamente. Le pieghe della veste, che ricopre la parte inferiore del corpo, hanno avuto proprio la funzione di nascondere i due diversi blocchi. A rendersene conto fu il curatore del Louvre, quando la statua tornò al museo, dopo che nel 1870, per l'infuriare della guerra franco-prussiana a Parigi, venne, insieme ad altre opere, spostata in un luogo sicuro. Il controllo approfondito al suo rientro, fece comprendere che la scultura non si era spezzata negli anni in cui era rimasta sepolta, ma che era stata originariamente costruita in quel modo.
L'assenza delle braccia costituisce un'ulteriore mistero, soprattutto su quale fosse la loro posizione. Se ad esempio tenesse in mano un oggetto come un'arco o un'anfora, che avrebbero potuto aiutarne l'identificazione. Molte sono, infatti, le ipotesi: si è pensato ritraesse la dea greca Artemide, o ancora Danae la principessa di Argo. Si è però più propensi a credere che potesse trattarsi di Afrodite, la dea della bellezza e dell' amore, ipotesi sostenuta per diversi motivi, anche politici.
Alcuni critici ad esempio, hanno pensato che in origine la statua potesse tenere in mano una mela, ricollegandola al giudizio di Paride, il mortale che tra tre dee aveva consegnato ad Afrodite una mela d'oro eleggendola come la più bella. Politicamente, invece, la Francia aveva bisogno di un capolavoro d'arte che potesse essere riconosciuto in tutto il mondo come un simbolo. La statua greca originale e non una copia romana era quello che serviva. Con questa avrebbe potuto riprendersi dallo smacco, subìto dopo il Congresso di Vienna, quando fu costretta a restituire ai vari stati italiani, la Venere Medici, l’Apollo del Belvedere e il Laocoonte, alcuni capolavori classici sottratti con le spoliazioni napoleoniche.
Con la "Venere", che a fini artistici "suonava" meglio di Afrodite, avrebbe potuto inoltre tornare a competere con Londra, che si era appropriata dei marmi del Partenone, e con Monaco di Baviera, la cui Gliptoteca conservava i preziosi frontoni provenienti dal tempio di Afaia, dell’isola greca di Egina.
Una "Venere" al centro di tante curiosità
A realizzare la statua fu Alessandro di Antiochia nel 130 a.C. La conferma arriva dall'analisi dell'iscrizione presente sul resto del basamento dove è poggiata. Fin dal suo arrivo al Louvre, calchi della scultura vennero inviati alle maggiori accademie delle belle Arti, affinché i giovani artisti potessero riprodurla trasformandola in un simbolo universale di bellezza. Questo fatto aprì l'interrogativo se ricostruirne o meno le braccia, ma nell'impossibilità di sapere la loro posizione, si decise di lasciarla senza, nella certezza che nulla potesse offuscare il suo fascino.
Anche altre parti della scultura sono andate perse nel corso degli anni: la fascia sulla testa e gli orecchini, il piede sinistro e il basamento. Quest'ultimo si pensa sia stato distrutto addirittura dai francesi, che volevano far credere che la statua fosse di epoca classica e non ellenica, per conferirle maggiore valore. Infine, anche il naso, ricostruito successivamente durante il restauro al Louvre.
Molte sono le opere ispirate alla bellezza della Venere di Milo. Una tra le più famose, Libertà che guida il popolo, un dipinto di Eugène Delacroix del 1830. Ancora Salvador Dalì con la Venere di Milo con Cassetti e la Testa otorinologica di Venere, insieme al dipinto Torero allucinogeno. Fu anche modello per pittori come Van Gogh e Paul Cézanne, che ne realizzarono numerosi bozzetti durante i loro studi. Più recentemente il designer Carlo Mollino, con il suo specchio dalla chiara sagoma della Venere. Anche Walt Disney la riprese nel cartoon Hercules, dando una spiegazione al perché avesse perso le braccia.
Il 16 agosto 1940 i nazisti entrarono al Louvre scoprendo che era completamente vuoto, visto che le maggiori opere d'arte (circa 4000), erano state messe al sicuro e portate a bordo di 203 camion al castello di Chambord. Trovarono invece la Venere di Milo ancora al suo posto, ma scoprirono che si trattava di una semplice copia in gesso.
Nel 1964, invece, la statua fu spedita a Tokyo per le Olimpiadi e nel lungo viaggio durato oltre un mese venne danneggiata.
Quattro frammenti del panneggio, all’altezza dello stinco sinistro, si erano staccati. Tre questi vi erano pezzi in gesso di un vecchio restauro, mentre il quarto era una scheggia di marmo, già staccata dalla statua durante il ritrovamento nel 1820.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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