Il servizio sanitario deve pagare le terapie a un bambino con disturbo dello spettro autistico. Lo ha stabilito il tribunale di Pavia, con una sentenza di pochi giorni fa che - giudicando sul caso di un bambino di quinta elementare - consolida un orientamento analogo già maturato in una causa simile, che la stessa famiglia del minore aveva intrapreso per veder riconosciuti i diritti suoi e del piccolo.
Lo chiameremo Giovanni. E sembra proprio che «Giovanni» di Pavia, insieme ai suoi genitori, stia aprendo una strada che altre famiglie potrebbero seguire, e di cui altri bambini potrebbero beneficiare, almeno in Lombardia.
La questione, in generale, riguarda il ruolo degli attori pubblici. Le famiglie che hanno dovuto affrontare il problema dell’autismo raccontano infatti di essersi trovate a gestire tutto in una drammatica solitudine. Questo accadeva negli anni passati, soprattutto in alcuni territori del Paese, e in parte questo accade ancora oggi.
La questione di cui tratta ora, in particolare, è quella delle prestazioni che devono essere fornite dalla sanità regionale. Il tema è quello del trattamento Aba, un metodo che incentiva le risposte positive - e disincentiva quelle disfunzionali - favorendo uno sviluppo inclusivo. Il metodo è indicato nei Lea, i Livelli di assistenza che "devono" essere forniti dal Servizio sanitario, eppure non viene erogato - non in tutta Italia, almeno. È nelle linee guida per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti ma non viene coperto, o viene coperto col «contagocce», quanto a numero di ore.
Per ragioni di «sostenibilità economica», Regioni e autorità sanitarie tendono a resistere, in giudizio e anche dopo. Oggi però le famiglie hanno visto riconosciuto quel diritto: il tribunale pavese (sezione lavoro) si è appena pronunciato, condannando l’Agenzia di tutela della salute di Pavia a sostenere - per la durata di 36 mesi - le spese relative all’erogazione di 12 ore settimanali di trattamento riabilitativo mediante la trattamento Aba.
Ora si dovranno attendere le motivazioni, ma la sentenza - come detto - consolida una giurisprudenza. Nel caso del bambino di Pavia, il primo verdetto, quello cautelare, è del 2020. Poi è arrivata la sentenza del 2021, che ha condannato Ats di Pavia a rimborsare due anni di trattamento. In quel caso la consulente tecnica, rispondendo ai quesiti posti dal giudice (in relazione alla efficacia e alla non fungibilità del trattamento, ha evidenziato la «sicura utilità» che l’utilizzo del metodo Aba ha apportato nella salute del minore: nelle motivazioni della sentenza 20121 si legge che è ragionevole affermare che il percorso psicoeducativo con metodologia Aba seguito da Giovanni, il trattamento a cui il bambino è stato sottoposto, abbia prodotto esiti positivi, «contribuendo a garantire, seppure parzialmente, al bambino e alla sua famiglia una migliore qualità di vita». L’esperta ha sottolineato come sia richiesto «un intervento intensivo ed integrato». Sulla base di questo, comunque, Ats è stata condannata a sostenere le spese relative all’erogazione in favore del minore di cinque ore settimanali di trattamento riabilitativo domiciliare mediante la metodologia Aba. Ed è durato due anni (oltre a quello riconosciuto in sede cautelare). Ed ora eccoci alla terza pronuncia in favore del bambino, questa sentenza di fine novembre: ancora non si conoscono le motivazioni ma il dispositivo sì: dà ragione alla famiglia, rappresentata dall’avvocato Corrado Robecchi Majnardi. E incrementa le ore di terapia per Giovanni.
Nel frattempo, anche a Milano si è mosso qualcosa. Nell’aprile 2022 l’avvocatessa Giorgia Rulli ha ottenuto che il Tribunale ordinario accertasse il diritto di un bambino di 8 anni di «ricevere, a carico del sistema sanitario nazionale, l’erogazione del trattamento riabilitativo cognitivo comportamentale mediante la metodologia Aba, secondo un orario intensivo di 30 ore a settimana per 24 mesi». La legale ha ottenuto anche che giudice dichiarasse «il diritto dei ricorrenti di poter sottoporre il figlio al già menzionato trattamento riabilitativo» e condannasse l’Agenzia della Brianza a prendere in carico direttamente il minore o a sostenere le spese relative alle cure ricevute da terzi.
I tempi sono una variabile cruciale.
Giovanni è fortunato, perché la sua famiglia ha la determinazione e i mezzi per seguirlo, facendosi carico in prima battuta delle notevoli spese necessarie per queste terapie, e con la ormai ragionevole speranza di un «rimborso». Le molte famiglie che si trovano in una situazione simile, ma senza i mezzi per farvi fronte, devono rinunciare fin dall’inizio. A meno che il sentiero tracciato da Giovanni non diventi ora una «autostrada».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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