Non c’è più il presepe palestinese in Vaticano. Le immagini di oggi parlano chiaro: dall’aula Paolo VI è stata tolta la natività di cui ha parlato nei giorni scorsi il "Giornale" e che tanto ha fatto discutere, quella con un bambinello adagiato su una kefiah bianca e nera, simbolo ormai globale della causa palestinese.
Sugli organi ufficiali della Santa sede sono visibili le immagini dell'udienza generale di Papa Francesco di stamani, e non sono più presenti la culla, la kefiah e il bambinello “palestinese” che erano stati collocati nel salone il 7 dicembre, giorno in cui sono stati inaugurati anche l’albero e l’altro presepe, quelli destinati a piazza San Pietro.
Il presepe allestito all’interno dell’aula era un dono dalla comunità palestinese di Betlemme. Quelle scene della Natività provenienti in gran parte da Betlemme, si legge ancor oggi nel resoconto su "Vatican news", evocano "con le lacrime agli occhi", il "dramma della guerra". E “guardando ai presepi di Betlemme”, il Papa aveva notato, “pur nella loro diversità”, "lo stesso messaggio di pace e di amore" lasciato da Gesù. Essi – il messaggio vaticano - sono un rimando a chi, "nella terra dove il figlio di Dio è nato", soffrono "per il dramma della guerra". Bergoglio, dunque, aveva inaugurato l’allestimento con riferimenti espliciti alla guerra in Medioriente e - come si leggeva nel resoconto degli organi ufficiali vaticani – incontrando «la delegazione dell'ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede» con i rappresentanti speciali del presidente di Palestina, Abu Mazen che - aveva ricordato Francesco - «è venuto parecchie volte qui».
«La martoriata Palestina», aveva aggiunto. E la lettura che emergeva dai gesti e dalle parole di Bergoglio era in linea con quella esternata anche nei mesi scorsi, quando il Papa non ha perso occasione per mostrarsi vicino alle ragioni dei palestinesi, facendole praticamente coincidere con le ragioni della pace, accreditando dunque l’idea che la guerra in corso sia dipesa dal presunto “imperialismo” israeliano, più che dall’attacco del 7 ottobre.
Questa lettura ha suscitato tante reazioni contrariate in tanti esponenti del mondo ebraico, e anche l’esibizione del presepe pro-Pal ha provocato irritazione, anche perché oggettivamente stride con il dato storico della ebraicità di Gesù, riconosciuta dal Catechismo della Chiesa cattolica, che citando Luca attesta che Maria fosse «una figlia d’Israele, una giovane ebrea di Nazareth in Galilea», «una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe».
Il Gesù ebreo, peraltro, viene esaltato anche dalla “Crocifissione bianca”, il quadro dell’ebreo russo Marc Chagall che il Vaticano ha voluto a Roma in vista del Giubileo (al Museo del Corso) e che Bergoglio – che ne è un grande estimatore – ha visitato nel giorno dell’Immacolata, per qualcuno in una sorta di "par condicio" dei gesti.
L’ebraicità di Gesù non fonda alcuna pretesa ecumenica ma il suo riconoscimento può essere considerato un segno di rispetto per la storia di quelli che Giovanni Paolo II, in un momento più propizio del dialogo ebraico-cristiano, aveva chiamato “i nostri fratelli maggiori”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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