Congedo maternità obbligatorio: le novità dell’Inps

Con il passare del tempo, l'Inps ha fornito diversi dettagli sul congedo maternità obbligatorio, ossia un periodo di 5 mesi durante il quale le lavoratrici in stato interessante hanno il diritto di non lavorare percependo un’indennità pari all’80% della retribuzione media. Ecco cosa sapere

Congedo maternità obbligatorio: le novità dell’Inps

Nel corso degli anni si sono susseguite diverse circolari e direttive perché, per quanto fondamentale, il tema del congedo maternità obbligatorio è di trattazione tutt’altro che facile e ha necessitato di più interventi correttivi con i quali l’Inps ne ha perfezionato l’attuazione. Prendendo in esame le diverse direttive riassumiamo i punti cruciali affinché le lavoratrici in gravidanza conoscano i rispettivi diritti e doveri.

Il primo aspetto degno di attenzione è la natura del congedo maternità, il quale non è né un premio né un benefit che i datori di lavoro possono concedere facoltativamente: è un diritto su cui ogni lavoratrice può fare leva. La durata è di 5 mesi e, pure non essendo negoziabile, può essere suddivisa diversamente lungo il periodo che precede e quello che segue il parto.

A chi spetta il congedo maternità

È una misura destinata a tutte le lavoratrici dipendenti anche se segue logiche che variano a seconda della natura del contratto di lavoro in essere. In sostanza, il congedo maternità spetta a:

  • lavoratrici (apprendiste, operaie, impiegate e dirigenti) che hanno un rapporto di lavoro attivo nel privato o in seno alla Pubblica amministrazione durante il periodo di congedo
  • lavoratrici del settore agricolo con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato e che risultano attive negli elenchi nominativi annuali almeno 51 giorni di lavoro
  • lavoratrici del settore domestico e del settore dell’assistenza familiare per le quali sono necessarie 26 settimane contributive durante l’anno precedente quello dell’inizio del congedo, oppure 52 settimane contributive durante i due anni precedenti
  • lavoratrici che svolgono un’attività professionale presso i rispettivi domicili, così come le lavoratrici impegnate nei lavori di utilità sociale oppure di pubblica utilità
  • lavoratrici disoccupate a patto che il congedo maternità inizi al massimo 60 giorni dopo l’ultima giornata lavorativa.

Il diritto al congedo maternità si applica anche ai casi di adozione o di affidamento di minori.

Il congedo maternità durante e dopo la gravidanza

Di norma il congedo maternità inizia due mesi prima della data presunta del parto per estendersi lungo i tre mesi successivi. Tuttavia, vige una certa flessibilità dettata da particolari situazioni quali, per esempio:

  • una gravidanza a rischio induce un’Azienda sanitaria locale (Asl) a raccomandare alla lavoratrice di anticipare il congedo maternità
  • l’Ispettorato territoriale del lavoro ritiene incompatibile con la gravidanza la professione svolta dalla futura mamma.

Le opzioni sul tavolo possono anche permettere di sfruttare il congedo maternità interamente per cinque mesi dopo il parto. Dopo la gravidanza, infatti, si delineano diversi scenari:

  • in assenza di altri tipi di flessibilità, la puerpera può astenersi dal lavoro per i tre mesi dopo il parto, con l’aggiunta dei giorni compresi dalla data presunta del parto stesso e quella effettiva
  • in caso di parto prematuro o anticipato il congedo ha la durata di tre mesi, ai quali si aggiungono i giorni eventualmente non ancora goduti prima del parto
  • la lavoratrice può assentarsi per cinque mesi dal lavoro dopo il parto ma a questo scopo serve una valutazione medica che esclude rischi per il bambino e per la mamma se quest'ultima rimane in servizio fino al nono mese

La durata del congedo è riferita al parto e non al numero di figli, ciò significa che un parto gemellare o plurigemellare non dà diritto a congedi più lunghi.

Più in generale, il Decreto legislativo 151/2001 disciplina che le opzioni per godere del congedo maternità consentono alle donne di lavorare fino a un mese prima della data presunta del parto e fino a 4 mesi dopo il parto, includendo anche l’ipotesi di sfruttare il congedo interamente dopo la nascita del figlio.

L’indennità durante il congedo maternità

Le donne in gravidanza hanno diritto a percepire un’indennità pari all’80% della retribuzione media giornaliera. Il datore di lavoro anticipa l’importo dovuto e si fa carico del relativo rimborso.

In alcuni casi l’indennità viene riconosciuta direttamente dall’Inps, ovvero:

  • le lavoratrici stagionali
  • le operaie agricole
  • le lavoratrici occasionali del settore dello spettacolo
  • le lavoratrici del comparto domestico o familiare

È opportuno sapere che il diritto all’indennità sottostà alla prescrizione di un anno a partire dal giorno seguente a quello in cui si conclude il congedo maternità.

Questi principi valgono anche se a percepire l’indennità è un lavoratore, allorquando la lavoratrice è impossibilitata a godere del congedo maternità.

L’alternativa: il congedo paternità

Ci sono dei casi nei quali il congedo può essere sfruttato dal padre del bambino in alternativa alla madre, tra questi figurano:

  • il decesso o un’infermità grave della madre
  • l’abbandono del figlio da parte della madre
  • l’affidamento esclusivo del bambino al padre

Nel caso di adozioni o affidamento, il congedo paterno è possibile allorquando la madre rinuncia anche solo in parte al proprio diritto al congedo maternità.

Come presentare la domanda per il congedo maternità

Per essere regolare, la domanda per il congedo maternità deve rispondere ad alcuni requisiti:

  • deve essere inoltrata prima dei due mesi precedenti la presunta data del parto
  • la gravidanza deve essere attestata da un certificato medico
  • la data di nascita effettiva e le informazioni relative al neonato devono essere trasmesse tempestivamente all’Inps

Le domande per il congedo maternità o per il congedo paternità vanno presentate all’Inps tramite un Caf oppure mediante un commercialista. In alternativa si può procedere in autonomia sul portale Inps accedendo con Spid, Cie o Cns allegando la seguente documentazione:

  • carta di identità e codice fiscale del richiedente
  • certificato di gravidanza telematico
  • certificato di nascita, di adozione o di affido
  • modello Inps SR14 oppure Modello SR01 (entrambi forniti dal medico di base)
  • autorizzazione / consenso di un medico per quelle donne che rimangono al lavoro fino al termine della gravidanza.

A

questi documenti va aggiunta la busta paga della lavoratrice (o del lavoratore) e le coordinate bancarie o postali nel caso in cui l’indennità non viene corrisposta dal datore di lavoro.

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