La diplomazia ecumenica secondo Astana

Il Kazakistan ha fatto del dialogo interreligioso uno dei pilastri della sua politica estera. Il presidente in carica, Kassym-Jomart Tokayev, ha provato a spiegare il perché sulle colonne del Jerusalem Post.

La diplomazia ecumenica secondo Astana

Ineluttabilità geografiche e acume politico hanno reso il Kazakistan una delle potenze emergenti più importanti dell'attualità. Prima economia dell'Asia centrale, paese-guida del movimento contro le armi atomiche, nonché stazione centrale dell'Eurasia, il Kazakistan riveste un ruolo centrale anche nell'Internazionale dell'ecumenismo e del dialogo intercivilizzazionale.

Astana è sede dell'evento dedicato al dialogo interreligioso più noto e partecipato dei tempi contemporanei, il Congresso dei leader delle religioni tradizionali e mondiali, ed è anche l'unica capitale dell'Asia centrale postsovietica ad aver ospitato un sovrano della Chiesa cattolica – non una, bensì due volte: Giovanni Paolo II nel 2001, Francesco nel 2022.

La scelta di costruire uno stato multietnico e multiconfessionale, nel quale tutte le comunità hanno pari diritti e pari rilevanza, ha pagato: il Kazakistan non ha sperimentato i fenomeni di radicalizzazione religiosa e di nervosismo interetnico che hanno invece colpito i paesi del vicinato ed è riuscito, inoltre, ad accreditarsi come un valido interlocutore presso le grandi fedi regionali e globali.

Il potenziale dell'ecumenismo quale forza per la pace è, dunque, estremamente elevato – il caso kazako ne è la prova. Ed è precisamente di questo che ha voluto parlare il presidente in carica del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, per mezzo di una lunga riflessione scritta di proprio pugno e poi inviata al Jerusalem Post.

La riflessione di Tokayev

Il presidente kazako ha scritto una riflessione sull'ecumenismo, intitolata "Religious leaders can help bring about peace", che è stata pubblicata dal Jerusalem Post il 14 settembre.

Il testo inizia con una presa di coscienza sullo stato di salute del sistema internazionale: "crescenti tensioni internazionali", "erosione dell'ordine globale che è stato in piedi sin dallo stabilimento delle Nazioni Unite", il ritorno all'epoca dei "blocchi" di guerrafreddesca memoria, "la nuova corsa alle armi globale" e "la proliferazione delle guerre in tutti i formati: calde, ibride, cibernetiche e commerciali". Questo è il contesto in cui, secondo il presidente kazako, "è di vitale importanza che vengano sviluppati nuovi approcci per rafforzare la fiducia e il dialogo tra civiltà".

La diplomazia, nota il presidente kazako, per quanto essenziale, sembra non bastare più: "i conflitti restano onnipresenti in molte regioni del mondo". Questa capillarizzazione e questa cronicizzazione delle conflittualità richiedono "un nuovo movimento globale per la pace", all'interno del quale le fedi dovrebbero avere "un ruolo indispensabile".

Partendo dallo snocciolamento di alcuni numeri, ad esempio riconoscendo che "approssimativamente l'85% della popolazione mondiale si identifica in una religione", il presidente kazako è dell'idea che i valori fondamentali delle grandi religioni, come "la sacralità della vita umana e il rifiuto di rivalità distruttrici", possano andare a "formare la base di un nuovo sistema mondiale".

I leader religiosi, che il Kazakistan richiama nella propria capitale ogni tre anni nel quadro del Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, "possono contribuire a curare le ferite dell'odio" provocate da "conflitti duraturi". È il caso della Siria, secondo il presidente kazako, dove cristiani e musulmani stanno lavorando, insieme, alla rinascita di una società lacerata da guerra civile e terrorismo.

Nella riflessione di Tokayev sono stati toccati anche temi come le offese ai sentimenti religiosi nei paesi sviluppati, emblematizzate dai roghi coranici nei paesi scandinavi, e i processi di frammentazione e di polarizzazione sociale galvanizzati dalle società digitali. Fenomeni, entrambi, che una presenza più assertiva dei leader religiosi potrebbero contrastare.

In un mondo sempre più attraversato da conflitti di radice nazionale e culturale, i valori della pace e dell'autoelevazione spirituale incorporati nelle grandi religioni potrebbero agire in senso contrario: aumentare la fiducia, facilitare la comprensione, ridurre le spinte alla radicalizzazione di ogni tipo. Ne è convinto il presidente kazako, per il quale "il Kazakistan fa da esempio per il mondo [...] facilitando il dialogo globale tra religioni e nazioni, anche attraverso il Congresso dei leader religiosi, e contribuendo alla comprensione e al rispetto reciproci nelle società".

Religioni e pace, l'opinione di Marco Limburgo

Secondo Marco Limburgo, docente di storia contemporanea e socio fondatore del centro studi Osservatorio Russia, il "Kazakistan rappresenta un caso peculiare nel contesto centrasiatico". Non soltanto per la posizione rivestita, di "leader naturale della regione per potenzialità demografiche ed energetiche", e per la presenza di una classe dirigente "apparentemente in grado di bilanciare l'asse [tra Europa, Cina e Russia]", ma anche per i risultati conseguiti nell'ambito della ricerca di "autonomia geopolitica".

Il Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, secondo l'esperto, "reifica il messaggio che Astana vuole riflettere, improntato sull'esempio di paese multiculturale e multireligioso pressoché privo di conflitti intestini" e ha oramai "ottenuto il riconoscimento internazionale", diventando "un segno distintivo dell'identità del Kazakistan".

Le sfide al "modello Astana" non mancano, dalle questioni linguistiche che dividono sempre di più russi e kazaki al "divario centro-periferie", ma nel complesso ha dimostrato di funzionare ampiamente e la "visita di papa Francesco" all'ultima edizione del Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali è stata "una prova tangibile dell'impegno del governo kazako nel promuovere la pace, l'armonia, la tolleranza e la diversità religiosa".

Infine, nota Limburgo, la decisione di affidare i propri pensieri al Jerusalem Post potrebbe anche essere una questione "geopolitica". Il giornale, infatti, "per la sua autorevolezza e la sua credibilità, nonché per la sua tradizionale prossimità alla destra al governo, è il passaggio obbligato da cui devono transitare leader o diplomatici stranieri intenzionati a rivolgersi all'opinione pubblica e ai decisori israeliani".

Il tempismo delle riflessioni non sarebbe casuale, dunque, perché capita in un "momento in cui i due paesi stanno discutendo i termini di un rapporto bilaterale che ha tutti gli elementi in sé per approfondirsi".

Le relazioni kazako-israeliane, sebbene se ne parli poco, sono molto solide. Limburgo rammenta, ad esempio, come "oltre il 10% del petrolio che Israele importa provenga dal Kazakistan" e come quest'ultimo sia interessato all'alta tecnologia per l'intelligence made in Israel.

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