L'Italia va alla guerra con i raid sull'Irak. Ma lascia la Libia ai tagliagole dell'Isis

Il governo Renzi si muove al traino degli americani e scalda i Tornado. Ma non riesce a convincere gli alleati ad agire a 400 chilometri dalle nostre coste

L'Italia va alla guerra con i raid sull'Irak. Ma lascia la Libia ai tagliagole dell'Isis

Mosul dista da Roma 2.708 chilometri, ma solo 400 chilometri di mare separano le nostre coste da quelle libiche. La domanda sorge, quindi, spontanea. Se il governo Renzi intende bombardare lo Stato Islamico perché non iniziare dalle basi libiche di Derna e Sirte? Basi che oltre ad essere assai vicine mettono a rischio i nostri interessi strategici e la nostra sicurezza. La risposta è semplice. L'Italia non ha saputo, fin qui, costruire iniziative politiche capaci di risvegliare l'interesse di Washington per la progressiva avanzata dello Stato Islamico in Libia. Per un Obama a fine mandato la sola urgenza è arginare un Vladimir Putin pronto a cancellare la residua credibilità americana in Medioriente. E dunque l'unico settore cruciale resta quello iracheno e siriano. Per ottenere una minima attenzione dalla nazione guida del nostro sistema d'alleanze dobbiamo quindi compiacerla offrendole collaborazione, mezzi e aiuto dov'è più in difficoltà. Nello stesso tempo Matteo Renzi deve cercare di non farsi trascinare nell'insidioso pantano siriano dove - oltre a non esistere piani politici - non siamo graditi al padrone di casa Bashar Assad. Mettete insieme tutti questi buoni motivi, aggiungeteci la «coincidenza» della presenza in Italia, ieri e oggi, del segretario alla Difesa statunitense Ashton Carter- arrivato proprio per chiederci di fare il nostro dovere - e capirete perché una vocina di Palazzo Chigi ha suggerito a via Solferino lo scoop sull'intervento dei Tornado.

Un intervento rivolto a prevenire un'imbarazzante richiesta di collaborazione in Siria. Un intervento già ampiamente deciso e solo blandamente smentito da un ministero della Difesa che - pur definendo «ipotesi» le indiscrezioni di stampa - indica già la strada del voto parlamentare per cambiare le regole d'ingaggio dei quattro Tornado impegnati nelle missioni di ricognizione sui territori dell'Isis assieme ad un aereo cisterna Kc 767 e due droni Predator disarmati. Prima di arrivare in Parlamento, il governo dovrà però spiegarci come, cosa e dove bombarderemo. Fin qui la nostra partecipazione alla coalizione anti-Stato Islamico - formata da 59 paesi e guidata dagli Usa - prevedeva da una parte l'addestramento e l'armamento dei peshmarga curdi per mano di paracadutisti e forze speciali e dall'altra l'impiego di Tornado e Predator per individuare bersagli ed obbiettivi del Califfato nell'Iraq settentrionali. Il passaggio dalle semplici ricognizioni alle vere azioni di bombardamento comporterà anche l'adeguamento delle regole d'ingaggio di paracadutisti ed incursori che verranno impiegati, com'è nel loro ruolo, per l'acquisizione d'obbiettivi. Parà e incursori impiegati in prima linea con i curdi contribuiranno quindi a illuminare i bersagli dello Stato Islamico (come probabilmente già fanno anche se non ufficialmente) comunicando dati e coordinate ai piloti dei Tornado.

Su questa base i nostri Tornado colpiranno da Sinjar a Kirkuk, ovvero in tutte quelle zone dove i militari italiani già contribuiscono all'addestramento dei curdi e alla pianificazione delle loro operazioni militari. In questo contesto potrebbe essere introdotto, come suggerisce l'ex Capo di stato maggiore dell'Aeronautica generale Leonardo Tricarico, l'armamento dei due droni Predator utilizzati fin qui nella versione da ricognizione. Il tutto previa autorizzazione degli Stati Uniti da cui attendiamo da tre anni il via libera all'acquisto di tecnologie e kit di armamento, concesse fin qui solo agli inglesi, per i 12 Predator e Reaper in nostro possesso. Ovviamente sganciare qualche bomba italiana nel calderone nord iracheno non contribuirà a mutare le sorti dello scontro con lo Stato Islamico. Soprattutto in mancanza di un disegno strategico più ampio che Washington non sembra, ad oggi, in grado di delineare.

L'aver fatto i compiti in Irak, scansando gli scogli siriani, potrebbe però servire a Renzi per guadagnare un minimo d'attenzione in più sulla Libia.

Il ruolo guida rivendicato dal nostro paese nell'ex colonia può, infatti, concretizzarsi solo se Washington contribuirà ad una missione in grado di colpire anche lì lo Stato Islamico. Una missione che le nostre Forze Armate non sono, per la limitatezza di mezzi e uomini, in grado di organizzare militarmente e a cui il governo Renzi si è dimostrato fin qui incapace di fornire una cornice politica.

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