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Sembra un quesito senza risposta: perché, per indicare il consueto strumento da taglio, si dice forbici al plurale? Anzi, proprio un “paio”, ovvero “cosa non divisibile ma formata di due parti della stessa forma e misura”? La gran parte dei dizionari, antichi e moderni, alla voce forbice avvertono che l’uso è prevalentemente plurale, molti registrano direttamente la parola forbici, omettendo il singolare. Se l’uso plurale sembra fuori dubbio, nessuno spiega perché lo si preferisca. La derivazione latina, forfex, forficis, non aiuta.
A ben curiosare, però, le definizioni di forbici/e individuano due oggetti differenti. Per la prima parola, al plurale, ci affidiamo allo Zingarelli: “Strumento da taglio, composto di due coltelli o lame d’acciaio incrociate e imperniate nel mezzo, fornite a un’estremità di anelli in cui infilare le dita per adoperarle”: è l’utensile che tutti conosciamo. Ma il D’Alberti di Villanuova definisce la forbice, al singolare, così: “Strumento di ferro da tagliar panno, tela e simili, fatto d’una lama di ferro ripiegata nel mezzo, la quale ripiegatura detta calcagno, fa ufficio di molla, e le due parti rappresentano due coltelli che si riscontrino col taglio, e stretti insieme mozzano tutto ciò che vi s’interpone”. La definizione viene ripresa, identica, dal Tommaseo e da altri autori.
Quest’ultima descrizione, al singolare, si riferisce a uno strumento più elementare e più antico, un elemento unico che riproduce la forma di una V, dove l’angolo è rappresentato dal calcagno a molla. Mentre le forbici comuni, unite nel mezzo da un perno, hanno la forma di una X, ovvero di due V unite e contrapposte, e appaiono quindi come un elemento doppio. Dunque il plurale potrebbe derivare proprio dalla forma: la forbice, singolare, è una V; mentre la X, che si compone di due V, rappresenta quindi due forbici, una caratterizzata dalle lame, l’altra caratterizzata dagli anelli.
Un’analogia dal
mondo animale può aiutare. Forbice è “ciascuna delle chele dei granchi e degli scorpioni” (Devoto Oli); anch’esse sono organi a forma di V, e indicandone una sola non c’è infatti esitazione nel chiamarla al singolare,”chela”.
Il suo utilizzo del termine "duale" e' inesatto, tanto sotto il punto di vista grammaticale (specie della grammatica storica) tanto da quello semantico. Il duale e' concepito non per indicare un oggetto (o sim.) di natura duplice (1+1=1), ma per indicare la coppia (1+1=2). Se non ha familiarita' con il greco antico, lingua morta, puo' proficuamente confrontare l'uso del duale in lituano. Per indicare un oggetto di natura duplice (1+1=1) le lingue a tre numeri (sing.pl.duale) usano o il singolare o il plurale. Lo stesso dicasi per i sostantivi collettivi.
Cordialmente, Paolo Stefanato
P.S. Come noto a chi frequenta i testi letterari, "forbice" al singolare (nel senso di "forbici", non di "strumento tagliente usato anticamente ecc. ecc.") e' presente in Montale.
P.S. Come noto a chi frequenta i testi letterari, "forbice" al singolare (nel senso di "forbici", non di "strumento tagliente usato anticamente ecc. ecc.") e' presente in Montale.
Il suo utilizzo del termine "duale" e' inesatto, tanto sotto il punto di vista grammaticale (specie della grammatica storica) tanto da quello semantico. Il duale e' concepito non per indicare un oggetto (o sim.) di natura duplice (1+1=1), ma per indicare la coppia (1+1=2). Se non ha familiarita' con il greco antico, lingua morta, puo' proficuamente confrontare l'uso del duale in lituano. Per indicare un oggetto di natura duplice (1+1=1) le lingue a tre numeri (sing.pl.duale) usano o il singolare o il plurale. Lo stesso dicasi per i sostantivi collettivi.