Docente di Lingue (Ucrainistica) alla Sapienza di Roma, Olena Ponomareva vive in Italia dal 2002 ma mantiene forti legami con il suo paese, l'Ucraina. Si reca a Kiev (di cui è originaria) alcune volte all'anno. Si trovava nella capitale ucraina quando è scoppiata la rivolta. Ha vissuto in prima persona il "martedi di sangue" (18 febbraio) ed è testimone oculare dei violenti scontri che hanno causato la morte di decine di persone e il ferimento di molte altre. Le abbiamo posto alcune domande chiedendole di raccontarci ciò che ha visto, quello che teme di più e ciò che spera per il futuro del suo Paese.
Professoressa, lei si trovava a Kiev quando è scoppiata l'insurrezione. Cosa ricorda di quei drammatici giorni?
Dal 4 al 22 febbraio mi trovavo a Kiev, la mia città di origine, per motivi famigliari. Da vicino ho potuto osservare il fenomeno del Maidan. Per evitare varie strumentalizzazioni e falsificazioni, che non sono mancate in Italia, né in Ucraina, né in altri paesi, è opportuno chiarire la vera natura delle proteste ucraine. Sono cominciate subito il 28 novembre scorso dopo che l’allora presidente Ianukovych aveva rifiutato di firmare il nuovo Accordo di associazione con l’Unione europea. I primi a scendere in piazza sono stati i giovani, gli studenti universitari di Kiev e delle altre città del Paese, praticamente la prima generazione nata e cresciuta dopo l’indipendenza ucraina del 1991. Loro percepivano come organico e naturale l’orientamento politico europeo con l’obiettivo dell’integrazione europea inserito nella legislazione ucraina a partire dal 1993 e definito una priorità della politica estera. Dopo il tentativo da parte del governo di reprimere questa prima protesta, quando gli studenti sono stati brutalmente picchiati dalla polizia, la protesta filo europea si è trasformata nella rivolta generale contro il regime di Ianukovych, per difendere i diritti garantiti dalla Costituzione.
Chi c'era a protestare? Tutti giovani?
Anche i genitori sono scesi in piazza per proteggere i loro figli, la cosa più cara che ognuno può avere. Maidan (la piazza dell’Indipendenza a Kiev) è diventata un’isola della democrazia con centinaia di attivisti accampati nelle tende giunti da tutto il Paese, comprese le regioni russofone dell’est e del sud dell’Ucraina. Tutte le domeniche si radunava l’Assemblea popolare con 20-50 mila persone: il picco ha superato le 500 mila unità. Da tra mesi la richiesta principale di Maidan erano le dimissioni di Ianukovych, già delegittimato agli occhi del popolo a causa di una pessima gestione della crisi politica e sociale, macchiato di sangue dopo l’ordine che ha impartito di usare la forza contro i manifestanti.
Poi è sfociata in guerriglia...
Il pomeriggio del 18 febbraio iniziata l’operazione “anti-terroristica” annunciata dal governo di Ianukovych per ‘ripulire’ Maidan. Invece di finire in un’ora, com'era stato previsto dai servizi di sicurezza (la cui implicazione negli eventi è stata pienamente documentata), l’operazione è durata tre giorni. Oltre 100 persone sono state uccise (la maggior parte colpite dai cecchini appostati nei palazzi governativi) e circa cinque mila di persone sono rimaste ferite in modo grave. Il 22 febbraio il presidente Ianukovych scappa dall’Ucraina per rifugiarsi in Russia (nonostante su di lui pendesse un mandato di cattura internazionale), assieme ad altri esponenti del suo governo. Il Parlamento, che resta l’unica istituzione operativa nel paese, nomina il nuovo governo e indice le nuove elezioni presidenziali per il 25 maggio.
Ma cosa chiedeva, in concreto, il popolo di Maidan?
Le richieste principali erano tre: dimissioni di Ianukovych e la formazione di un governo tecnico; riforma costituzionale, ovvero il ritorno al parlamentarismo e alla costituzione del 2004 (che dopo l’elezione di Ianukovych la Costituzione è stata cambiata per rinforzare i poteri del presidente); elezioni presidenziali anticipate.
Lei perché è scesa in piazza?
L'ho fatto, insieme a milioni di cittadini ucraini (in tre mesi di proteste le richieste del Maidan sono state sostenute da altre Piazze in molte città dall’ovest all’est del Paese) perché condividevo pienamente la loro rivendicazione maggiore: democrazia e libertà, politica, economica, individuale. La rivoluzione arancione di nove anni fa ha portato un rinnovamento della società ucraina, ma non è riuscita a cambiare il sistema del governo in cui i meccanismi reali del potere sono rimasti nelle mani dei clan oligarchico-corporativi costituiti prevalentemente da esponenti della ex nomenclatura: il potere politico era percepito come metodo più efficace di ridistribuzione della proprietà dello Stato e del controllo economico del paese. Il cardine di questo sistema è la mega corruzione diffusa a tutti livelli istituzionali, garantita da determinati meccanismi. Altre caratteristiche fondamentali sono: il concentramento del potere in un solo organo (in pratica vengono cancellate le distinzioni tra i tre rami del potere, legislativo, esecutivo e giudiziario); assenza di Stato di diritto; il sodalizio tra l’élite oligarchica, i “poteri forti” e la criminalità organizzata. Questo modello di potere era tipico di molti paesi formalmente ‘indipendenti’ nello spazio post-sovietico dove i meccanismi dell’alternanza democratica venivano alterati e le elezioni politiche servivano da strumento per garantire la continuità del governo.
C'è un filo che lega le precedenti rivolte a quella di Maidan?
Tutte rivoluzioni di colore nello spazio post-sovietico nel periodo tra il 2003-2007 erano scaturite dalle proteste in seguito alle elezioni falsificate quando veniva immancabilmente eletto un candidato prescelto, appoggiato, guarda caso, da Mosca. Il valore e il significato più profondo del Maidan consiste nel fatto di cambiare non semplicemente i politici, ma rinnovare il sistema del potere e porre le basi per la costruzione delle istituzioni sostanzialmente (e non più apparentemente) democratiche. E questo fa paura ai governi autoritari nello spazio post-sovietico dalla quale scaturiscono i tentativi di screditare le idee di Maidan che talvolta assumono le forme assai aggressive di una propaganda anti-ucraina tout court.
Qualcuno ha detto che dietro alla rivolta c'era il disegno degli americani (o dell'Europa). E' davvero così?
La fonte di queste affermazioni è piuttosto trasparente, ma è anche sintomatica la reazione di alcuni interlocutori occidentali che ci credono: derivano da una profonda misconoscenza delle problematiche dei paesi dell’Est europeo dovuta anche alla mancanza di informazioni obiettive. La crisi in Ucraina di novembre 2013 - febbraio 2014 è un fenomeno assai complesso i cui molteplici aspetti devono ancora essere analizzati e concettualizzati. Per questo è necessaria una minima distanza storica, mentre noi tutti viviamo ancora all’interno di eventi molto drammatici e con risvolti importanti a livello globale.
Di che tipo?
L’aggressione russa sul territorio ucraino, a partire dell’annessione della Crimea, ha segnato una nuova fase della crisi, perché dalla sua soluzione, nonché dai modi in cui la crisi ucraina verrà risolta dipenderanno tre fattori essenziali per la sicurezza europea e internazionale: primo, dove passerà il confine dell’Europa istituzionale; secondo, dove passerà il confine della democrazia e della libertà; terzo, chi in Europa vincerà la guerra fredda, perché oggi il caso ucraino ci mostra con tutta evidenza che la contrapposizione polare tra due sistemi politico-economici, nonché tra due sistemi di valori non fosse ancora finita. In questo modo la dimensione di Maidan è diventata veramente globale e, quindi, con le implicazioni ancora più complesse.
Come riassumerebbe, in sintesi, il fenomeno Maidan?
Io userei questa espressione: "persone libere" e non più schiavi del potere oligarchico, profondamente anti-democratico per definizione che non solo riduce i cittadini alla condizione di povertà economica, ma li spoglia dei loro diritti e, persino della dignità. Gli ucraini vogliono scegliere liberamente il proprio governo e ora sono pronti anche lottare per questo.
In Europa, ma anche in Italia, c'è un forte sentimento che si oppone all'Ue e all'euro. Proprio per questo molti si domandano perché l'Ucraina voglia entrare in Europa.
La concezione dell’Europa per gli ucraini non è tanto dissimile da quella che avevano le altre nazioni dell’Est europeo separate dagli europei occidentali dalla cortina di ferro. Eppure, per gli ucraini che conobbero, oltre al totalitarismo, la condizione coloniale e post-coloniale, il significato dell’Europa è ancora più profondo: oltre alla libertà e alla giustizia, la dignità umana e nazionale. Dopo le tragiche vicende delle ultime settimane e le numerose vittime (oggi, purtroppo, i dimostranti continuano a morire nelle piazze ucraine nell’est del Paese dove si sono spostate le proteste) l’Unione europea finalmente si è convinta della validità e consistenza delle aspirazioni pro europee dell’Ucraina: il 21 marzo sarà firmata la parte politica dell’Accordo di associazione con Kiev; mentre la sottoscrizione della parte economica su libero scambio avverrà dopo le elezioni presidenziali di maggio. La situazione però continua a evolversi molto rapidamente: dopo la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina da parte della Russia Štefan Füle, commissario europeo per l’Allargamento e la Politica Europea di Vicinatonell’intervista al quotidiano tedesco Die Welt ha proposto di iniziare immediatamente con l’Ucraina le trattative sull’adesione all’Ue: “Se vogliamo davvero cambiare quella parte dell'Europa orientale, dovremmo usare il più forte strumento politico a disposizione dell’UE che è l’allargamento, un meccanismo di stabilizzazione unico ed efficace”.
Come giudica ciò che è avvenuto in Crimea?
L’annessione alla Russia ha violato la Carta dell’Onu e i trattati internazionali, in primo luogo il Memorandum di Budapest del 1994 che garantiva l'indipendenza e l'integrità territoriale dell’Ucraina, dopo che il paese nel 1993 aveva volontariamente rinunciato alle riserve di armi nucleari ereditate a seguito della disgregazione dell’Unione sovietica. I garanti dell’integrità territoriale erano gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Russia. È un precedente molto pericoloso le cui conseguenze per la sicurezza europea e globale al momento sono imprevedibili, ma possono diventare veramente gravi. In questa situazione critica, l’Occidente, per essere in grado di affrontare le nuove sfide e agire con efficacia, deve cambiare le categorie e i criteri di valutazione delle nuove realtà emerse da tempo, ma finora sottovalutate.
Crimea uguale Kosovo, dice qualcuno. Cioè deve valere, per tutti, il principio di autodeterminazione. Cosa ne pensa?
Condivido pienamente il principio dell’autodeterminazione dei popoli, ma sono convinta che debba trattarsi di un processo in cui vanno rispettate le norme giuridiche nazionali e internazionali. Non convince un referendum popolare organizzato in Crimea in due settimane dai cittadini russi arrivate per l’occorenza dalla Russia come il signor Aksionov (l’autoproclamato premier del governo della Crimea) e i suoi collaboratori, per di più con la presenza di 40 milà uomini dell’esercito russo sul territorio della peninsola. Negli ultimi giorni il numero dei militari russi ha raggiunto le 60 mila lungo il tratto sud-orientale del confine con l’Ucraina. Dopo l’uccisione a Sinferopoli di un sottoufficiale ucraino (i militari ucraini sono rimasti nelle loro basi in Crimea e ora vengono bloccati dall’esercito russo) e l’autorizzazione del Ministero della Difesa ucraino di usare le armi, il conflitto da politico rischia di diventare apertamente militare. Per rendere l’idea della drammaticità del momento per gli abitanti della Crimea, vorrei riportare un caso specifico...
Di cosa si tratta?
C'è una comunità italiana a Kerch, la città situata sullo stretto che separa la Crimea dalla Russia. Sono i discendenti degli emigrati italiani (per maggior parte pugliesi) che arrivarono in Crimea alla fine dell’Ottocento. Negli anni Trenta dello scorso secolo la comunità costituiva circa cinque mila persone, era ben integrata a livello economico e sociale. Costruirono una fabbrica di conservazione del pesce e organizzarono la propria parrocchia presso la chiesa cattolica fondata nel 1840 dal fratello di Giuseppe Garibaldi. Nel 1942 su ordine di Stalin furono deportati in Kazakistan a motivo delle loro origini e della loro appartenenza culturale, solo una piccola parte di sopravvissuti era ritornata in Crimea negli anni ’80. Dopo l’indipendenza ucraina hanno iniziato la loro battaglia per ottenere un riconoscimento giuridico del ‘popolo deportato’ presso il governo di Kiev, ciò che li consentirebbe poi di avviare le procedure per la ricostruzione della cittadinanza italiana. Hanno partecipato al referendum del 16 marzo sperando che questo portasse a una maggior autonomia all’interno dello Stato ucraino. All’esito del referendum quando il 17 marzo la Crimea è stata proclamata indipendente hanno cercato di contattare le nuove autorità della Crimea sfruttando l’occasione della presenza in Crimea degli osservatori italiani nella delegazione OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). L’indipendenza della della penisola sembrava agli italiani di Kerch un’occasione buona per ottenere il riconoscimento giuridico e lo status del “popolo deportato” per riabilitare i loro morti e dare un senso di appartenenza ai giovani.
Sono soddisfatti di come sono andate le cose?
No, visto che l’indipendenza della Crimea è durata poco più di ventiquattro ore: il giorno successivo del 18 marzo il presidente Putin ha firmato il "Trattato sull'ammissione della Repubblica di Crimea alla Federazione russa”. La signora Giulia Giacchetti Boico, presidente dell’Associazione “CERCHIO” di italiani della Crimea, è subito stata informata che la sua associazione non potrà più essere una semplice fondazione “senza scopi di lucro” e che lei, secondo le leggi russe, dovrà provvedere a registrare presso il Ministero degli Esteri a Mosca una nuova associazione con denominazione “agente estero” (in quanto mantiene contatti con le strutture ed enti all’estero) e che i suoi ospiti (parenti, amici, studiosi che si occupano del fenomeno dell’emigrazione italiana ecc.) che vengono dall’Italia d’ora in poi dovranno avere il visto (l’Ucraina nel 2005 ha abolito i visti per i cittadini UE).
Qual è il suo giudizio su ciò che ha scritto la stampa italiana?
I commenti sarebbero davvero tanti. Mi limito a citare l’osservazione di Giulia, mia amica di Crimea e presidente dell’Associazione italiana. Anche lei è stata intervistata dagli inviati speciali delle tv e dei giornali italiani.
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