Covid, scoperto il gene che potrebbe dare l'immunità

Un recente studio ha portato alla scoperto un gene che potrebbe portare l'immunità nelle infezioni da Coronavirus ma anche da altri tipi di patologie

Covid, scoperto il gene che potrebbe dare l'immunità
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Per fortuna il periodo della pandemia, delle restrizioni ma soprattutto delle numerose vittime dovute al Covid, è qualcosa che ci siamo lasciati alle spalle. Questo però non significa che il virus non continui a girare, anche se siamo ben lontani dai casi che venivano registrati soltanto un anno fa. Se il virus modificandosi ha subito un rallentamento, non lo ha fatto la scienza che continua gli studi mirati alla conoscenza e a trovare nuove metodologie di cura che possano metterci al riparo anche da situazioni future.

Il nuovo studio sull'immunità

La buona notizia arriva da uno studio pubblicato su Nature, su un gene che potrebbe spigare perché alcune persone infettate dal Covid non sviluppano nessun sintomo, risultando di fatto asintomatiche. La scoperta potrebbe aiutare gli scienziati ad aprire nuove strade per lo sviluppo di vaccini e trattamenti. Lo studio ha rivelato che almeno il 20% delle persone contagiate risulta senza sintomi, e queste potrebbero avere una risposta immunitaria proprio grazie a questo gene che combatte il virus prima dell'insorgenza dei sintomi e delle conseguenti complicazioni per la salute.

"Osservare la resistenza ci consente di capire sostanzialmente come possiamo eliminare un'infezione", ha affermato Samira Asgari, assistente professore di genetica e scienze genomiche presso la Icahn School of Medicine del Monte Sinai coinvolta nello studio. Questo è partito dai geni dell'antigene leucocitario umano (HLA), che svolgono un ruolo fondamentale nella capacità del nostro corpo di riconoscere e combattere i virus patogeni (quelli in grado di causare una malattia, ndr). Questa sorta di "guerrieri genetici" sono: "la regione del genoma più importante dal punto di vista medico", ha affermato Jill Hollenbach, professore del dipartimento di neurologia ed epidemiologia dell'Università della California a San Francisco.

Per lo studio, il professor Hollenbach e il suo team, hanno coinvolto 29.947 donatori volontari di midollo osseo, perché per questo gruppo erano già disponibili dati genetici di alta qualità. Hanno chiesto di monitorare quotidianamente gli eventuali sintomi da Covid, naso che cola, gola irritata, febbre o brividi, di registrare i tamponi fatti e annotare gli eventuali ricoveri o gli interventi medici.

Durante lo studio durato nove mesi, 1.428 persone non vaccinate hanno riportato un test positivo per il coronavirus e 136 di loro non hanno avuto sintomi. Tra i partecipanti asintomatici, il 20% era portatore di una variante HLA comune chiamata HLA-B*15:01. Le persone portatrici di due copie di questa variante, una tramandata da ciascun genitore, avevano una probabilità otto volte maggiore di rimanere asintomatiche rispetto a quelle portatrici di altre varianti HLA.

I ricercatori hanno poi utilizzato questi dati per capire se i fattori hanno influenzato la possibilità dei volontari di avere un'infezione asintomatica. "Ci sono molti fattori, che fino ad ora abbiamo pensato potessero aggravare l'infezione, come il peso corporeo, l'età, il sesso o malattie pregresse" ha detto Hollenbach. "In questo caso, nessuno di questi fattori sembrava avere un peso importante, la asintomaticità sembra essere principalmente dovuta dalla genetica".

Cellule T e immunità preesistente

Partendo da questo importante assunto, i ricercatori hanno esaminato i dati delle persone portatrici di HLA-B*15:01 raccolti nella prima parte della pandemia di coronavirus, e hanno scoperto che queste avevano cellule immunitarie chiamate Cellule T, che reagivano in maniera importante alla proteina del Sars-CoV2, ma anche ad altri coronavirus stagionali. Questo suggerisce che determinati portatori esposti ai virus del raffreddore stagionale, potrebbero aver sviluppato un'immunità preesistente al covid.

Sebbene i risultati possano spiegare perché si verificano alcune infezioni asintomatiche, lo studio è limitato ai dati genetici già esistenti da lavori precedenti. Inoltre, il gruppo di persone esaminate era abbastanza omogeneo, i partecipanti erano bianchi e l'81% di questi donne. “In termini di diversità, non possiamo estendere questi risultati a tutte le popolazioni perché sappiamo, sulla base dei rapporti epidemiologici, che i sintomi covid variano tra le popolazioni”, ha affermato il professore.

Nonostante questo però lo studio segna un passo molto importante per comprendere il modo in cui si verificano infezioni asintomatiche, che può risultare fondamentale per evitare gravi implicazioni e per lo sviluppo di vaccini e terapie.

"Come tutti abbiamo appreso, prevenire l'infezione da covid si è rivelato più difficile di quanto pensassimo", ha affermato Hollenbach. "Se potessimo progettare un vaccino che forse non ti impedisca di essere infettato ma possa gestire l'infezione così prontamente da non avere alcun sintomo, personalmente ne sarei molto felice."

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