Il foglietto che Mishima lascia prima di uccidersi il 25 novembre del 1970 è emblematico: «La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre». Il suo seppuku, il suicidio rituale, resta tuttavia un atto indecifrabile per le sensibilità del nostro tempo. Spesso interpretato come una via di mezzo tra l'azione di un pazzo, come dichiarato dal primo ministro Sato, e l'irragionevole determinazione di un disadattato, che in seguito portò il ministro della difesa Nakasone a definire quella scena «fastidiosa», soprattutto per essersi svolta davanti a soldati, nonostante la costituzione vietasse un esercito.
Mishima aveva mancato l'appuntamento con la Storia, non prendendo parte alla guerra per il Giappone del sogno imperiale. Con la sconfitta, cercò invece di «scoprire come morire», tormentato dalla frustrazione di non aver combattuto, dalla consapevolezza della perdita ma soprattutto dall'ondata di occidentalizzazione che portò alla stesura di una Costituzione ispirata a quella statunitense, la quale negava la figura dell'Imperatore e l'esistenza di un esercito nazionale. Questo cambiamento, insieme alla decadenza delle forze sociali, morali e culturali del Paese, ne alimentarono il disagio, spingendolo a una violenta reazione contro una popolazione pronta a distaccarsi dalle tradizioni. Eppure, continuò a muoversi per tutta la vita all'interno di una dualità enigmatica, che per molti risulterà equivoca e incomprensibile.
La sua esistenza oscilla infatti tra un ideale spirituale e l'ammirazione per i gusti occidentali. Da un lato, la fascinazione per certi aspetti della civiltà dei consumi, dall'altro l'appello costante al Giappone tradizionale, in una lotta incessante contro la degenerazione morale che si inasprì fino a condurlo a cercare come unica via d'uscita lo sventramento rituale.
Ne è metafora letteraria L'età verde, romanzo uscito nell'ottobre del 1950 che narra di uno studente di legge morto suicida dopo il fallimento della finanziaria di cui era presidente. La traiettoria esistenziale del protagonista che passa attraverso «gli influssi della guerra e dell'epoca che non mutano la natura fondamentale degli esseri umani» è, sotto questo aspetto, del tutto scontata, ma anche il riverbero poetico per descrivere traumi e cambiamenti personali e del suo Paese.
Questa frattura interiore segnerà profondamente l'esistenza di Mishima. Scrive, infatti, in maniera ridondante e quasi classica, ma anche recita negli «yakuza movie» (film che narrano le vicende della famosa organizzazione criminale giapponese), assume posture da dandy, ma fonda un corpo paramilitare, si fa immortalare dalla macchina fotografica in pose scultoree mentre impugna una katana, ma poi ritorna al teatro No (che aveva scoperto a soli sette anni), caratterizzato dai tempi lenti e dall'utilizzo delle maschere, e che diventerà luogo dell'assenza e del velamento. Era pienamente consapevole che un ciclo si fosse concluso, ma allo stesso tempo riconosceva l'urgenza di avviare una battaglia quotidiana contro i valori e i principi del dopoguerra, nonostante i suoi riferimenti letterari fossero prevalentemente occidentali.
Una duplicità che diventa metafora letteraria in La scuola della carne (1963), storia di una relazione tossica, tra Taeko, donna di trentanove anni, divorziata e indipendente che, in un gay bar, incontra il giovane Senkichi. Offuscata dalla gelosia e avviluppata dall'angoscia e dalla paura, il legame si aggroviglia fino a incagliarne ogni spira di libertà individuale, per poi giungere alla definitiva maturazione attraverso «la scuola della carne» che spinge la donna a superare ogni prova.
Quella di Mishima è un'esistenza tormentata che cerca verità nello spirito, attribuendo un senso superiore solo alla morte, come nell'autobiografico Confessioni di una maschera, il suo primo grande capolavoro. Un resoconto anomalo e travolgente del passato, con scorci evocativi che offrono una drammaticità violenta, accentuata dai conflitti interiori e da configurazioni al limite dell'elusivo. A ventiquattro anni, già usa concetti come «recuperare la vita» e «territorio della morte». L'immagine infranta è quella delle convenzioni sociali e della consuetudine ripetitiva, che vuole demolire per svelare la nudità dell'Io. Confessioni di una maschera è dunque scarnificazione totale, e il momento in cui l'autore disvela la sua componente omosessuale e i tratti sado-masochisti. La morte impregna ogni riga, talvolta celata dietro espedienti retorici, altre volte nelle metafore sessuali, altre ancora nella fascinazione per la guerra, che appare come l'unico momento di catarsi e liberazione dalla decadenza. L'ossessione erotica e la questione della morte, costituendo una trama articolata di temi filosofici e spirituali, si riannoderanno poi plasticamente nella figurazione del martirio di San Sebastiano.
Dietro le sue convinzioni invalicabili, Mishima scova però sempre una degenerazione collettiva che si muove sotto traccia, come in Neve di primavera (1969). Ambientato negli anni successivi alla guerra russo-giapponese e prima della Prima guerra mondiale, il romanzo intreccia una storia d'amore e di amicizia, trasmettendo un profondo coinvolgimento emotivo verso la bellezza della natura e della vita umana. Al contempo, rivela una consapevolezza affascinante e nostalgica del cambiamento inevitabile che sta per travolgere la società tradizionale, la quale avverte l'avvicinarsi della trasformazione e ne percepisce la minaccia. Ma quando gli viene fatto notare che anche lui si sta consegnando al nemico, risponde in questo modo: «Debbo molto, in assoluto. E debbo molto anche relativamente. Io ho ritrovato i valori profondi del mio mondo soltanto quando ho conosciuto il vostro». E forse perché il suo sublime amor di patria rinvigorisce proprio grazie alla consapevolezza di aver introiettato parte della cultura occidentale, elaborata non più da lontano o come un vezzo snobistico.
Alla fine comprese che non c'era più spazio per alcuna oscillazione e iniziò a ipotizzare un approccio diverso, capace di rompere questa dualità, partendo da un assioma: il letterato può poco di fronte a questa svolta radicale e alla generale accondiscendenza. È necessaria l'azione! Serve riconnettersi definitivamente ai valori guerrieri dell'Hagakure, la via del samurai, e chiudere il cerchio con i rimandi più ancestrali della sua comunità.
Eppure, la società dello spettacolo vuole prendersi la scena e invadere prepotentemente il più antico dei rituali.
Il seppuku, pur sostenuto dalla indolenza dei gesti, dal vestito bianco e da un lento decorso di saluti e gesti misurati e cadenzati, avviene davanti alle telecamere di tutto il mondo. Ancora una volta, il moderno si intreccia con l'antico!
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.