Federica Saini Fasanotti, laureata all’Università statale di Milano, realizza una tesi di dottorato sul controverso rapporto della Croce rossa italiana con il Fascismo. Una tesi davvero particolare che dimostra come questa organizzazione caritatevole fosse - all’epoca - altamente fascistizzata e che i suoi capi più importanti fossero stati, chi in un modo o chi nell’altro, tra i primi ad aderire al Fascismo. Le crocerossine facevano parte delle forze ausiliarie dell’Esercito italiano e, così, la Fasanotti si ritrova immersa negli archivi dell’Esercito. Conosce un colonnello che le apre un fondo – l’H-8 – sui crimini di guerra. Analizzando i documenti, scopre moltissimi crimini compiuti dagli Alleati nei confronti degli italiani, sia civili che militari. Nasce così il suo primo libro, La gioia violata, che viene letto dal Generale Giorgio Battisti, il quale le propone due temi da analizzare per lo Stato Maggiore della Difesa: il brigantaggio e la guerra d’Etiopia. Sceglie la seconda e si trova in un mondo completamente nuovo: quello della storia militare. Per quattro anni si dedica alla grammatica militare, poi ai documenti e, infine, alla stesura del libro. Studia le operazioni italiane in Libia negli anni ’20. A Roma, in occasione di un convegno della Nato, conosce il generale John Allen (attualmente alla guida della coalizione anti-Isis). Ora sta lavorando – per le edizioni della Libreria militare – a un libro sulla dottrina della controguerriglia.
Nel 2011 è iniziata la crisi i Siria. Poi l’Isis ha cominciato ad espandersi. Secondo Lei questa è una guerra mondiale. Perché?
Noi abbiamo paura di dire che siamo in guerra. Da storica la vedo esattamente così: abbiamo uno scacchiere internazionale in cui viene combattuta questa guerra che, tra l’altro, ha diversi focolai: abbiamo il Maghreb, l’Africa subsahariana, la Somalia e la Nigeria. C’è poi tutto il Medio Oriente che è in fiamme: la Siria, l’Iraq e la Palestina. Tutto ruota attorno a una enorme controversia di tipo religioso: abbiamo sunniti contro sciiti, con i loro gruppi estremisti: da una parte Hezbollah e dall’altra i salafiti. Noi siamo abituati a ragionare per compartimenti stagni: durante la prima guerra mondiale si combatteva per dei confini nazionali, durante la seconda guerra mondiale si combatteva per delle ideologie e ora? Abbiamo una guerra diversa, ma lo scacchiere è globale. La guerra così come la conoscevamo noi è cambiata perché la società è cambiata. Non ci sono praticamente più i confini nazionali e ora l’ideologia dell’Isis cerca di prevalere sulle altre. L’esercito degli jihadisti può combattere sia con l’uniforme che senza e su scacchieri diversi. In Europa abbiamo una guerra terroristica. In Medio Oriente invece il nemico è organizzato con carri armati. L’Isis combatte per avere dei territori e noi dobbiamo evitare che prenda il dominio della Siria e dell’Iraq.
Le forze occidentali come stanno cercando di arginare l’Isis?
Teniamo presente che l’Isis ha cominciato ad avere attenzione da parte dell’opinione pubblica internazionale dopo l’esecuzione di James Foley. A partire da quel tragico evento, l’America ha preso coscienza della gravità della situazione e quindi ha preso una posizione, a mio avviso debole, contro l’Isis. Il 15 settembre 2014, Obama ha dato ordine al Generale John Allen di formare una coalizione contro gli uomini dello Stato islamico. Il Generale ha organizzato una coalizione di 64 Paesi che supportano la lotta all’Isis. E questo in meno di un anno. Ora abbiamo una coalizione compatta che ha come scopo quello di eliminare il nemico.
Perché 64 Paesi non sono ancora riusciti ad annientare le numericamente scarse milizie del Califfo?
Perché si è deciso di investire sugli eserciti nazionali che combattono direttamente contro l’Isis. Penso per esempio alle forze irachene. Boots on the ground per ora è un concetto che suscita qualche dubbio agli americani, che sono rimasti scottati dall’esperienza afghana. L’opinione pubblica non ne può più di guerre. Lo stesso Iraq è stato un fallimento perché i soldati americani sarebbero dovuti rimanere più a lungo, ma nel 2011 l’amministrazione Obama li ha fatti tornare in Patria.
Le persone che combattono al fianco dell’Isis sono lo specchio della società in cui viviamo. Pensiamo, per esempio, ai foreign fighter. Perché?
I foreign fighter sono un aggregato di persone diverse, per lo più giovani che rappresentano un profondo malessere della nostra società che ha fallito sotto moltissimi aspetti. I grandi principi ottocenteschi che avevano accompagnato la Rivoluzione industriale sono completamente falliti al termine della Seconda guerra mondiale. I ragazzi vengono abbandonati a se stessi. Il mondo occidentale non ha prodotto forti ideologie capaci di attirare le masse. Quando hai una società che propone un’ideologia forte, anche se sbagliata, è molto facile che un giovane che non ha esperienza e non ha alternative a casa propria, decida di seguire l’ideologia islamica. Pensiamo al fallimento della Francia delle banlieue.
Deracinè, come spiegava Ungaretti…
Esatto. A questo punto l’ideologia islamista diventa completamente allettante. Quando si parla di Terza Guerra mondiale parliamo anche di guerra interreligiosa. La prima guerra mondiale è stata combattuta prevalentemente da cristiani, anche se non dobbiamo dimenticare l’impero ottomano e così pure la Seconda. Questa è una guerra mediorientale, combattuta tra islamici.
Emergenza immigrazione. Sono in molti ad aver avvertito delle possibili infiltrazioni di jihadisti sui barconi. È uno scenario possibile?
Assolutamente sì: però noi i terroristi li abbiamo anche in casa e sono italiani. Mi fanno molto più paura gli jihadisti italiani. Noi abbiamo un esodo biblico di migliaia di persone per colpa nostra perché ogni popolo è responsabile della propria storia e del proprio futuro. Abbiamo responsabilità enormi sull’Africa. Anche come colonizzatori. Guardiamo come sono gli ex Paesi colonizzati e pensiamo a quelli italiani: l’Etiopia, l’Eritrea, la Somalia e alla Libia. La Somalia è stata per anni l’unico non Stato a livello mondiale. La Libia, dopo il 2011, cosa è diventata? Vogliamo ancora considerarlo uno Stato? La Libia sta facendo la stessa fine della Somalia senza che noi muoviamo un dito.
È stato quindi un errore abbattere Gheddafi?
Assolutamente sì. Era un sanguinario e un dittatore come moltissimi capi di governo di Paesi che non hanno una cultura democratica come la nostra. Non che la nostra democrazia sia perfetta, anzi: è altamente perfettibile. Però è una democrazia dove comunque l’essere umano ha più o meno valore. In questi Paesi invece non è così. Gheddafi a livello di politica internazionale aveva però un ruolo fondamentale. Questo valore è stato annullato senza pensare alle conseguenze che ci sarebbero state. E non soltanto per quanto riguarda il problema immigrazione. Abbattendo Gheddafi, i Paesi occidentali non hanno pensato a una transizione efficace. Tripolitania e Cirenaica erano tenute insieme da Gheddafi. Non c’erano solo divisioni millenarie tra queste due regioni unificate dagli italiani. C’erano e ci sono anche divisioni tra le tribù, alle quali si aggiungono anche criminali.
Lo stesso pericolo si potrebbe anche avere in Siria, una volta che dovesse cadere Assad…
Anche lui ne ha fatte talmente tante che è difficile per gli americani dire di poter collaborare con Assad. Una volta crollato il regime, però, chi lo sostituirà? Noi non possiamo lasciare a se stesse queste nazioni importanti dal punto di vista strategico.
Secondo Lei gli uomini dell’Isis sono davvero musulmani?
No.
Perché?
Perché il Corano è un libro non solo interessantissimo da un punto di vista spirituale, ma è anche un libro sacro che parla d’amore. Tutti i Paesi islamici – che sono tanti all’interno della coalizione – sono profondamente amareggiati dall’uso sbagliato che viene fatto dell’islam da parte dell’Isis.
Però la storia ci insegna il contrario…
Lo abbiamo fatto anche noi con le crociate, poi abbiamo smesso. L’islam, a differenza del cristianesimo, è anche una religione di Stato. I nostri sono Paesi sono profondamente laici e lasciano alla persona la scelta religiosa. L’islam è una religione aggressiva da moltissimo tempo e quindi non dobbiamo stupirci della sua avanzata. Ora però dobbiamo chiederci cosa vogliamo fare con l’islam: dobbiamo trovare alleati nei Paesi islamici moderati, come la Giordania. Anche l’Egitto di Al-Sisi, nonostante i suoi difetti, potrebbe essere un alleato e, infine, la Tunisia.
Il rapporto tra Turchia e Isis è molto ambiguo. Potrebbe cambiare in futuro?
Io credo di sì. La Turchia ha iniziato a rendersi conto del problema e ha capito che questa è una guerra in cui loro possono fare la differenza. I turchi, che sono così vicini all’Isis, hanno compreso che devono essere più attenti ai propri confini fino ad oggi troppo "porosi". È infatti attraverso il confine turco che la maggior parte dei foreign fighter si riversa all'interno dello scacchiere siriano. A mio giudizio è arrivato il momento che i turchi, anche per il loro ruolo all'interno dell'alleanza Nato, prendano una posizione più netta nei confronti dell'Isis che in termini pratici significa chiusura dei confini ai combattenti e concessione di basi aeree agli americani per agevolare i raid contro le posizioni nemiche su suolo siriano. Il governo turco ha utilizzato Isis in un'ottica anti-Assad, ma a questo punto l'operazione rischia di diventare un boomerang estremamente pericoloso per la stessa stabilità turca.
Obama, però, si è rifiutato di dare armi pesanti ai curdi, impegnati
nella lotta contro l’Isis.Ha paura perché è memore di altri scacchieri di guerra. Obama dovrebbe chiarirsi prima cosa fare. Se far lui la guerra o farla fare agli eserciti dei Paesi che già combattono contro l’Isis.
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