Condizioni di vita disumane e scarsità di cibo: dalle parole di una 36enne che lavorava come interprete e cuoca presso un centro gestito dal Consorzio Aid arrivano le prime conferme dei racconti fatti da alcuni ospiti delle strutture riferibili alle cooperative di cui risultano socie anche la moglie e la suocera di Aboubakar Soumahoro.
La testimonianza choc
"Parlo arabo e ho lavorato lì fino al 31 maggio scorso", spiega la donna a Repubblica, riavvolgendo il nastro fino ai giorni in cui aveva assistito in prima persona ai fatti raccontati. Nel centro si trovavano dieci minori, 5 egiziani e 5 tunisini, tutti di età compresa tra i 14 e i 17 anni."Le condizioni erano pessime. Non compravano vestiti ai ragazzi. Quando gli ospiti sono arrivati", ricorda la 36enne, "hanno ricevuto una tuta, un pigiama, un paio di scarpe, uno di mutande e una giacca". Poi niente altro, dato che per potersi vestire i giovani "dovevano uscire e lavorare".
Fame e freddo
Non c'era una maggiore attenzione neppure al riscaldamento della struttura, denuncia l'intervistata. Gli ospiti, infatti."chiedevano coperte: i termosifoni non funzionavano bene e la caldaia spesso andava in tilt, col risultato che non c'era sempre acqua calda".
Oltre che patire per il freddo, i giovani in qualche caso soffrivano anche la fame. "C'erano sempre difficoltà col cibo", racconta la 36enne, "e a volte la responsabile spendeva di tasca sua per far mangiare qui i minori. Io mi dovevo arrabbiare per far portare degli alimenti. Ma la spesa non bastava". Un problema grave, portato anche all'attenzione della suocera di Soumahoro, vale a dire colei che aveva l'incarico di provvedere alle forniture. Ciò nonostante,"il cibo appunto era poco e non dava spiegazioni. Quando la chiamavo diceva di far mangiare ai ragazzi il riso in bianco".
Peraltro non veniva garantito loro neppure il pocket money da 10 euro che avrebbe potuto aiutarli a gestire meglio la situazione. Un aspetto denunciato di recente anche da alcuni extracomunitari ospiti di strutture gestite dalla cooperativa Karibu. "A quei ragazzini non davano quasi mai la cosiddetta paghetta e quando sono stati trasferiti erano 4 mesi che non la vedevano", ricorda la cuoca della struttura.
Alle condizioni disumane si aggiunge anche il fatto che talvolta gli ospiti del centro erano costretti a stare al buio. Ciò che alcuni ragazzini avevano già denunciato, viene confermato anche dalla cuoca: "Non pagavano le bollette, dicevano che non avevano soldi e per dieci giorni siamo rimasti senza corrente elettrica".
Niente stipendio
Se ciò non bastasse, il pagamento per il ruolo di cuoca e di interprete non arrivava mai. "Io ero anche incinta. Ho quattro bambini e senza soldi è difficile sopravvivere", spiega la 36enne. La risposta era sempre la stessa: "Lo Stato non ci paga e noi non possiamo pagare".
Il racconto della cuoca non è isolato. A rimarcare il modus operandi dei gestori delle cooperative anche una 37enne eritrea. "Lavoravo come operatrice in una struttura per minori a Latina, ho tre bambini e sono in attesa di dieci mesi di stipendio", dichiara infatti. Marie Therese, suocera di Soumahoro, rispondeva sempre di non avere i soldi per pagarla. Non andava meglio ai giovani ospiti del centro. Un racconto che ricorda quello fatto anche dalla ex cuoca: "Mancava tutto, dal cibo alla corrente, fino all'acqua. Sul cibo dicevano che dovevamo farci bastare quel poco che portavano".
Le indagini da parte dei carabinieri su Karibu e Consorzio Aid,
cooperative riferibili alla moglie e alla suocara del deputato Aboubakar Soumahoro, vanno avanti da mesi con il massimo riserbo e vedono anche il coinvolgimento dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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