Alberto Gallazzi è consulente di sicurezza, sia civile sia militare, in Italia e all’estero. Un'autorità nel suo campo. Di fronte alle continue aggressioni e stupri nelle città italiane, compresa l'ultima di Rovereto, abbiamo deciso di intervistarlo per comprendere se è possibile difendersi. Anche se questo non è il termine correto.
Nel suo libro - Onset mindset: mentalità aggressiva in una società difensiva, scritto insieme a Decimo Alcatraz - afferma che preferisce l’attacco alla difesa. Che cosa intende?
Il concetto di difesa è stato introdotto perché bisogna cercare di moderare i termini. Questi termini indicano che bisogna sempre aspettare che ti venga fatto qualcosa prima di difenderti. Sappiamo però che, quando vieni attaccato, parti con uno svantaggio e così difendersi diventa davvero difficile. È come un'imboscata: chi riesce a farla, la maggior parte delle volte ha successo nel risultato finale. Io parto con un mindset diverso: sono in attacco. Caccio chi sta cacciando me. Questo non vuol dire che io sia aggressivo negli atti o violento nei movimenti, ma non parto con l’idea che sono sottomesso e che mi debba succedere qualcosa prima di potermi difendere. Non accetto il concetto di difesa personale: perché devo aspettare che tu mi attacchi? Devo avere uno stato di allerta molto alto, devo imparare a riconoscere quali sono i segnali e essere proattivo.
Perché il tabù della violenza?
La gente pensa sempre: a me non succederà mai. Non prende mai atto che il problema c’è ed esiste. Del resto, "il più grande inganno del diavolo è stato far credere al mondo che lui non esiste". Però il problema c’è: se tu hai la consapevolezza e inizi a studiare come funzionano determinate cose, all’inizio cerchi di addestrarti e a prestare attenzioni particolari. Quando arrivi a uno stato in cui sei allenato e fai automaticamente queste attività, vivi più rilassato degli altri perché hai le capacità per gestire l’escalation nel caso in cui ci sia qualcosa fuori contesto. Quando non sei preparato, se vai da zero a cento, non riesci più a gestire le tue reazioni e rischi di creare una lesione troppo importante perché non hai conoscenza e competenza.
Come difendersi?
Tutti diciamo che la violenza non dovrebbe mai essere necessaria. Ma a volte è l’unica soluzione al problema reale. Se ho a che fare con un sociopatico o un tossico, la sua visione è totalmente diversa dalla mia. Il suo interagire con me in maniera violenta non potrà scendere mai a una negoziazione verbale o risolversi con una fuga. Devo quindi accettare il fatto che non basterà lo spray al peperoncino o lo schiaffo. Il livello di violenza di queste persone, che spesso sono state in guerra e non sono compatibili con noi, è talmente alto che il mio grado di attacco, perché non voglio chiamralo difesa, deve essere maggiore e deve provocare una lesione. Ti faccio un esempio: faccio una leva classica da ju jitsu da difesa personale a un soggetto normale in una lite da bar: lui si ferma. Se lo faccio a una persona convinta a farmi del male o a bucarmi con un cacciavite, ecco che questa non si fermerà. Magari si farà anche rompere il braccio. Non fermerò la violenza, ma se ho provocato la giusta lesione so che lui non potrà più usare quel braccio o brandire oggetti perché, sotto droghe, il dolore non si sente. La lesione fa sì che, articolarmente, quella persona non abbia più accesso a quel movimento. Devi essere pronto a fare la lesione perché di dà quella possibilità di girare le spalle e andartene. Tutto questo si affianca sempre al contesto di prima: se ho le conoscenze capisco se è il momento di agire o se è sufficiente una de-escalation verbale.
Lei insiste molto sul concetto di lesione, soprattutto nel suo libro Malicidium: debellare il male non è un tabù, Quando la violenza è sopravvivenza...
C’era un avvocato americano che diceva che la giustizia ha poco a vedere con la cruda realtà. La società vieta la violenza, ma molti dei soggetti che la vivono se ne fregano del tabù della violenza e, anzi, la sfruttano sapendo che noi non difenderemo i nostri diritti in modo efficace. Chi è abituato a usare la violenza non ha scrupoli e non ha leggi. Questo non vuol dire che dobbiamo andare al di sopra della legge, ma ci impone di comprendere che il predatore che abbiamo fuori è diverso rispetto a quello con cui si litigava da ragazzini. Il primo punto della violenza è comprendere quando usarla. È come un’operazione militare: deve essere superiore rispetto alla violenza che potrei ricevere. Non vado a distruggere una città, perché allora sarebbe un abuso. È qui che interviene l’addestramento e mi permette di comprendere dove vado. Bisogna essere violento mentalmente se necessario, non negli atti. Se riesci ad essere così, sei la persona più affidabile che esista perché questo mindset ti dà la possibilità di comprendere quando intervenire e quando no.
Da dove partire per cambiare questo mindset?
Ci sono pratiche di avvicinamento al combattimento che sono più efficaci. Però già il fatto di allenarsi e avere più cardio è un bene. Anche solo far qualcosa fisicamente è un aiuto, anche a livello mentale. Il tipo di difesa che cerchiamo però dovrebbe lavorare innanzitutto a livello mentale perché il 20% sono le skill che hai imparato e l’80% il mindset. Se fai uno sport da combattimento c’è sempre un gentleman agreement. Se invece cerco un’attività per imparare a difendere mio figlio, devo trovare corsi che mi insegnino a farmi interagire alla protezione di una terza persona perché non è più uno scontro uno a uno. Se faccio ju jitsu a terra per fare punteggio, creo un bug nel mio software perché mi sono allenato per la cosa sbagliata. Devo capire perché mi voglio allenare e qual è il prodotto più adatto a me. Devo capire come leggere un tipo di attacco e fare una proiezione per atterrarlo e lasciar scappare mio figlio. Non sarò perfetto, non sarò preciso come in palestra ma sarai efficace. Quello che consiglio sono poche tecniche che coprano più aspetti possibili e tanto addestramento in stimoli che inducano stress e paura in ambienti non convenzionali come scale, buio e auto. Più uno vive la realtà più sarà in grado di gestire ambiente ed emozioni.
Corsi di questo tipo però sono pochi. Come comprendere se siamo nel posto giusto?
L’obiettivo è fare tante domande a un istruttore per capire se ha poca pratica personale oppure no. Siamo tutti bravi a raccontarcela, ma c’è gente che insegna difesa dalle armi e non è mai stata neanche una volta in un poligono... neanche per il maneggio. Come faccio a fidarmi?
Che cos'è il malicidio?
In un'intervista, un Navy Seals si pone questo problema. Durante il debriefing, però, gli fanno vedere come un obiettivo che aveva eliminato massacrava e torturava la gente. Non è un omicidio. È togliere il male dalla strada. Non ti fare troppe domande: ci sono momenti in cui la violenza è troppo alta e devi eliminarla. C’era un pastore americano che, una volta arrivato in Africa, è venuto a conoscenza che i signori della guerra ordinavano ai bambini di uccidere i loro stessi genitori. Questo perché una volta che i figli uccidono i loro genitori non hanno più freni. Cosa ha fatto quel prete? Ha raccolto fondi per acquistare armi e uccidere questi signori della guerra.
La violenza come tabù fa sì che c'è qualcuno che se ne approfitta?
È giusto che ci sia un controllo della violenza, ma il continuare a castrarla fa sì che alcuni che arrivano da altri Paesi sanno che non verrà fatto un uso di forza letale per fermarli.
Loro hanno fatto la guerra e ucciso persone. Metti anche che chi dovrebbe proteggerci si trova in uno stato mentale inefficace. In una città come Milano, quando chiami aiuto ci vogliono minuti, ma si muore in pochi secondi. La realtà è questa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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