Tutto è cambiato e, diversamente dal noto slogan del Gattopardo, tutto cambia affinché nulla sia più come prima, salvo la legge elettorale che resta il deprecato porcellum ancora in vigore e che la Corte costituzionale ha riconfermato e rilegittimato. E a questo proposito vale la pena chiarire il motivo per cui la Corte ha bocciato il referendum: un referendum può soltanto abrogare una legge, ma non fare una nuova legge. E se un referendum avesse abrogato l’attuale porcellum, l’Italia sarebbe rimasta senza una legge elettorale perché quella precedente, il Mattarellum, non può essere resuscitata per magia. Dunque il bipartitismo è ancora vivo, mentre il Terzo polo è in un vicolo cieco e tutte le forze minori e minime sono già in posizione di fuori gioco. Restano al tavolo soltanto i due partiti maggiori: Pdl e Pd. Entrambi i partiti maggiori già praticano o annunciano di volere le primarie, per saziare la voglia di scelta degli elettori, senza concedere le preferenze, madri di tutte le corruzioni e compravendite.
Il partito di Bersani teoricamente dovrebbe stracciarsi le vesti e dire che vuole comunque una nuova legge elettorale per favorire i potenziali alleati Casini e Fini, ma sull’altro piatto della bilancia vede l’appetitosa prospettiva di una posizione di comando con cui riempire il Parlamento di deputati e senatori delle sue liste, senza dovere nulla a nessuno. Ed è quanto accade nel Pdl di cui appare soltanto il tranquillizzante Angelino Alfano, mentre Silvio Berlusconi fa il padre nobile dietro le quinte, concedendo interviste di alto profilo agli arcinemici come il Financial Times mentre guadagna tempo prezioso per far raffreddare e dimenticare la rovente animosità accumulata sulla sua persona. Dunque, anche se non si può parlare di inciucio fra i due maggiori partiti, si deve tuttavia parlare di logica. E la logica in politica è più fredda e più deterministica di quella che governa giochi complessi come gli scacchi o il bridge. Dunque la logica spinge verso l’accordo, anche se l’aspetto esterno, estetico, mediatico e teatrale fa venire a molti, di destra e di sinistra, la pelle d’oca o il prurito: chi glielo dice, adesso, agli elettori che stiamo trattando con il Pdl mettendo le corna al Terzo polo?
Naturalmente in questo panorama va calcolata l’incognita maggiore e cioè Mario Monti e il suo governo di destra morbido nelle parole ma affilato come un rasoio nei fatti. Si capisce ora perfettamente quel che era già chiaro fin dall’inizio: la sinistra italiana si è fatta ubriacare dal rabbioso piacere di liberarsi di Berlusconi inscenando orrende manifestazioni di strada e, così ubriaca, non ha calcolato il fatto che Monti è andato a fare the dirty job: lo sporco lavoro che il governo precedente non aveva la forza di fare per i veti incrociati, le divisioni interne, le incertezze e le risse. Inoltre il Cavaliere non poteva smentire se stesso caricando la gobba del contribuente noto di nuove tasse, mentre quello ignoto al fisco danza e balla infischiandosene. Monti poteva e doveva, e l’ha fatto.
A questa carenza, quella dell’evasione fiscale dei soliti ignoti, il governo Monti ha dato risposte mediaticamente sazianti con i blitz di Cortina, Milano, Roma, che soddisfano i palati di chi vuole vedere almeno le prove di scena della caccia all’evasore anche se finora nessuno ha ancora detto chiaramente che cosa il governo in carica intende fare dell’economia sommersa e malavitosa che non solo non paga le tasse ma produce una fetta gigantesca di reddito senza la quale un terzo dell’Italia creperebbe. In questo momento le apparenze sono fondamentali: Monti è un jolly outsider perfetto perché «appare» come il perfetto anti-Berlusconi quanto a look, atteggiamento: la famosa sobrietà, l’accoglienza fantastica che riceve meritatamente all’estero, le mitiche giornate di Londra, di Bruxelles, di Berlino. Ma nei fatti molti ormai sospettano che sia il super Berlusconi, e questo spiazza la sinistra perché la sua luna di miele con il primo ministro prima o poi finirà e potrebbe finire molto male per la forza dei fatti e dei sondaggi.
Non c’è voluto molto perché la sinistra misurasse il guaio in cui s’è cacciata: per soddisfare le plebi antiberlusconiane più fondamentaliste ha accettato, esaltato, promosso e tenuto in piedi l’uomo che di fatto sviluppa e accentua la politica che Berlusconi non ha avuto la forza di fare. Quando mai il Cavaliere si sarebbe potuto permettere di pronunciare, semplicemente pronunciare, le parole «articolo diciotto»? Monti invece lo fa, e poi lo rifà, e lo ripete ancora sul sito di Repubblica e accentua e ribadisce col sorriso sulle labbra e le battute in inglese e all’inglese, che la messa è finita, che il posto fisso è finito, che le imprese per venire a investire in Italia hanno bisogno di libertà di assumere e di licenziare e che la giustizia funzioni assicurando tempi civili ed europei e non giurassici e metafisici.
Ma che farà Monti? Davvero come Cincinnato tornerà a zappare l’orto universitario? Forse è nei suoi desideri, ma non è nella logica. E poi, perché dovrebbe se la sua missione non è finita, se può ancora dare al Paese ciò di cui ha bisogno? Dunque le previsioni si complicano: la quadra da trovare prevede, come abbiamo detto, una scelta del Partito democratico fra un accordo con il Pdl sulla legge elettorale e la difesa del bipolarismo contro il terzopolismo di Fini e Casini.
Quale possa essere questa quadra è per ora impossibile dire, ma le opzioni ci sono: c’è da riempire la casella del Quirinale, la casella di Palazzo Chigi e nessuno può ancora dire oggi quale Parlamento uscirà dalle elezioni di qui a un anno. Ma ci sembra ovvio che Berlusconi rivendichi di essere la condizione vivente per l’esistenza del governo Monti («Mi sono ritirato io e anche con una certa eleganza mentre avevo ancora la maggioranza nelle due Camere», ripete) e che lo sostenga con convinzione. Il tempo lavora per il logoramento della sinistra e l’avanzata di concetti liberali, l’avanzata di simboli e parole che avevano perso forza negli ultimi anni e che minacciano di diventare politica, mettendo a frutto l’opportunità di una crisi che non ammette tentennamenti.
Dunque, secondo il vecchio detto di Mao Zedong, c’è molto disordine sotto il cielo e
questa è una cosa buona. Ormai si può solo andare avanti, come è evidente, e non si torna indietro. La partita è aperta e le varianti sono numerose. Verificarle è il nuovo compito della politica, dopo la lunga stagnazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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