C'è chi teme un nuovo "terrore rosso"

Yulia Latynina (Novaya Gazeta): "La repressione aumenterà ancora"

C'è chi teme un nuovo "terrore rosso"

«Una stupida provocazione dell'Fsb», dice Liubov Sobol (immagine in basso), avvocato in prima fila per i diritti civili, tra le persone più vicine al dissidente Aleksei Navalny. «Un mistero, con il timore che sia il pretesto per l'inizio di una fase di repressione totale» scrive Yulia Latynina (a lato), editorialista tra le più famose della Novaya Gazeta, il giornale del Premio Nobel Muratov, la cui redazione si è rifugiata a Riga, in Lettonia.

Non c' nulla di certo nell'attentato a Darya Dugina. E nemmeno la soluzione del caso immediatamente trovata delle forze di sicurezza russe, tanto perfetta da sembrare posticcia, contribuisce per il momento a fare chiarezza. Della presunta colpevole sapevano tutto, «compreso che era stata segnalata come membro del reggimento Azov fino all'aprile 2022» scrive Christo Grozev, giornalista investigativo che guida il servizio russo del sito Bellingcat. «Come è entrata in Russia viste le tracce così visibili delle sue esperienze militari»?

La Latynina, che qualcuno ha definito la nuova Anna Politkovskaja, esprime una paura sulla morte di Darya Dugina: «temo che questo omicidio sarà seguito da una fase di terrore totale, come dopo i colpi di Fanny Kaplan contro Lenin o dopo l'assassinio di Kirov».

Il riferimento è a due episodi della storia russa del '900. Il primo è dell'agosto del 1918: Fanny Kaplan, attivista del partito social-rivoluzionario tenta di assassinare Lenin, considerato traditore della rivoluzione, ferendolo gravemente.

È una svolta, la repressione si abbatte subito sugli avversari dei bolscevichi. Un decreto, ispirato al «terrore rosso», viene approvato in poche ore, centinaia di persone cadono vittima delle nuove leggi. Quanto a Sergej Kirov, capo del partito di Leningrado, legatissimo a Stalin, viene assassinato nel dicembre del 1934, da un giovane all'apparenza vicino alla sinistra del partito e a Grigorj Zinoviev. La sua uccisione apre la strada alla repressione contro Trotskij, Kamenev e lo stesso Zinovev, che sfocerà nei grandi processi del 1936.

L'accaduto «potrebbe essere il risultato di una resa dei conti per il potere all'interno del Cremlino e allo stesso tempo giustificare la repressione», dice la Latynina. «Non sono molti i russi che ora sostengono la guerra. Il via libera alla mobilitazione generale può essere ottenuta solo con il terrore. Man mano che la situazione al fronte peggiora per Putin, il suo sostegno tra il popolo e nell'èlite è destinata a diminuire. Man mano che il suo sostegno diminuisce, il terrore aumenterà».

Difficile misurare il consenso del Cremlino in questo momento. I sondaggi che c'è chi si ostina a condurre, sembrano, in un Paese in cui ogni confronto aperto di idee è impossibile, difficilmente affidabili. Ci sono statistiche che qualcuno interpreta come segnali indiretti. Ieri l'Auditel russa ha pubblicato i dati sull'ascolto dei canali televisivi. I primi tre, Channel One, Rossya-1 e Ntv, diventati in questi mesi strumenti a tempo pieno per la propaganda del Cremlino, hanno perso dall'inizio della guerra a oggi oltre il 25% del pubblico. La stessa percentuale di diffusione tra la popolazione guadagnata da un social incontrollabile e incensurabile come Telegram.

Andrei Kolesnikov (ex) ricercatore del Carnegie Center di Mosca è netto: «Gli attentatori o vogliono una condotta di guerra più aggressiva o vogliono provocare più repressione interna. In ogni caso non ho dubbi: sono uomini dei servizi segreti».

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