«Conferenza programmatica» è un nome stupendo, fa molto anni '80, Prima Repubblica, ricorda quella che Craxi organizzò a Rimini nel 1982, dove furono stese le basi programmatiche del craxismo - per inciso, molte delle soluzioni di allora sono ancora attuali. Altri tempi, ma nell'impiantare un'iniziativa del genere, Giorgia Meloni ha capito che alla politica non bastano più (ammesso siano mai bastate) le piazze, i social, la tv. Occorre studiare. Cosa per cui non bastano giorni: servono anni. Soprattutto se, ed è l'altro elemento di curiosità, la Conferenza intende porre le basi, (gli «appunti») per un «programma conservatore».
Ci vuole ardimento a utilizzare una categoria politica fin dal nome equivoca: conservatori. O meglio che richiede una serie di premesse, aspetto non ottimale per la comunicazione di massa. Ma una conferenza programmatica riguarda soprattutto le élite politiche, e in questo ambito specialistico il concetto può ben essere utilizzato. Bisogna però sapere che esso è tutt'altro che poco problematico. Quando Meloni e gli esponenti di Fdi evocano il conservatorismo, infatti cosa intendono realmente? Quello della tradizione inglese e statunitense, cioè atlantica, Reagan, Thatcher, Bush jr, Cameron e oggi Johnson? Sarebbe splendido, anche se bisogna ricordare che, pure lì, il conservatorismo non è mai stata una ideologia politica solida e granitica, come il socialismo o il pensiero radical-democratico. E lo è ancor meno oggi, quando le grandi culture politiche ereditate dal XIX e dal XX secolo sono tutte agonizzanti. Pure in area atlantica poi, ogni teorico conservatore riteneva la propria interpretazione la sola corretta, litigando spesso con quella degli altri - in questo i conservatori sono attaccabrighe come i liberali. Reagan del resto non amava definirsi conservatore, la Thatcher lo giudicava un termine desueto, e ci sarà una ragione per cui il solo paese importante con un partito dal nome Conservatore sia il Regno Unito.
Sarebbe poi curioso se una formazione giustamente «patriottica» pensi di trapiantare una cultura politica atlantica in un paese che non l'hai mai avuta. In realtà esiste una tradizione conservatrice italiana, di pensatori da Vico a Cuoco, da Mosca a Croce fino ad Augusto Del Noce. Così come esiste una tradizione politica conservatrice rilevante, che però non ha mai voluto definirsi tale: almeno tre i nomi, Giolitti, De Gasperi, Berlusconi. Il popolo italiano è tendenzialmente conservatore, ma questo conservatorismo ha consenso se declinato in forma moderata: in altre parole, e per dirla brutalmente, il conservatorismo italiano è centrista. L'aveva capito anche una figura in Fdi controversa, Gianfranco Fini, che però con le Tesi di Fiuggi era andato alla ricerca di un conservatorismo italiano.
Sono tutti temi di studio: da lasciare soprattutto agli studiosi e all'autonomia della cultura. Altrimenti, il rischio è che il nome «conservatore» finisca per rilucere come uno stemma debole di contenuti o come una mera proposta di marketing. E sarebbe un peccato mortale.
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