La farsa della par condicio, che ignora la Rete

La legge regola tv, radio e comizi elettorali. Ma ormai i politici preferiscono social e web

La farsa della par condicio, che ignora la Rete

Ogni volta che gli italiani vengono chiamati alle urne ritorna d’attualità il tema della comunicazione elettorale. Soprattutto quando si rinnovano le Camere, la propaganda passa attraverso i mezzi d’informazione. Il voto politico, si sa, è anche un voto d’opinione. Dunque, i talk show e gli appelli televisivi dei candidati possono fare presa soprattutto sugli indecisi. Ecco perché, nel 2000 fu emanata la legge sulla par condicio, che puntava a garantire parità di spazi di propaganda a tutte le forze in campo.

Che cosa stabilisce la legge sulla par condicio

Tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, programmi, interviste e contenitori vari devono ispirarsi a equilibrio nell’esposizione di opinioni e posizioni, anche attraverso l’applicazione di rigorosi criteri di misurazione quantitativa degli spazi di visibilità. La regola del minutaggio ha dimostrato, negli anni, tutti i suoi limiti perché risulta di problematica applicazione in un contesto politico fortemente frammentato come quello italiano.

La legge sulla par condicio vieta inoltre alle pubbliche amministrazioni, nel periodo che va dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto, di svolgere attività di comunicazione, a meno che non si tratti di messaggi impersonali e neutrali, indispensabili per l’efficace svolgimento delle attività di pubblica utilità. Per semplificare, un sindaco di un colore politico non può utilizzare il suo ufficio stampa per fare propaganda a un candidato al Parlamento.

Nessuna regola per web e social

Ormai gli attori politici preferiscono lanciare i loro proclami soprattutto attraverso web e social e puntano a instaurare un dialogo diretto con i loro potenziali elettori. Gran parte della propaganda passa, dunque, attraverso la Rete, alla quale però la legge sulla par condicio non si applica. Il numero di follower può dunque diventare il vero valore aggiunto per i leader di partito, che su Twitter, Facebook, Instagram e altri social possono esercitare la libertà d’espressione anche il giorno stesso del voto, senza patire limiti di sorta. Neppure il tradizionale silenzio elettorale può essere fatto rispettare on-line.

Legge da riformare profondamente

La legge sulla par condicio risulta dunque anacronistica e non garantisce in alcun modo un equilibrio nella attuale competizione per il voto politico del 25 settembre. A fare la differenza sono i profili social, sui quali non esistono regole. I colossi del web, applicando il codice di condotta europeo sulle fake news, dovrebbero in teoria contribuire a smascherare e rimuovere le notizie false. Tuttavia, si tratta di una missione impossibile, perché nella propaganda politica molti contenuti di dubbia autenticità rientrano nella sfera dell’opinabile e la loro inattendibilità spesso non può essere provata.

Va perseguita, quindi, la strada di una profonda riforma legislativa che adegui le regole della propaganda elettorale al mutato contesto multimediale, peraltro in costante evoluzione. L’uguaglianza e la parità di accesso ai media non possono essere garantite se in Rete vige l’anarchia.

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