
Volodymyr Zelensky ha le spalle al muro. Non solo perché Donald Trump ha fretta di assicurarsi una pace qualsiasi tra Russia e Ucraina. Ma soprattutto perché questa pace ha un prezzo che il capo dello Stato Ucraino non può pagare. Non è solo un problema di orientamento personale. «Non c'è un singolo politico di Kiev che sarebbe disposto a legalizzare l'occupazione di territori ucraini», ha detto ieri al New York Times Kostyantyn Yeliseyev, ex vice capo dello staff presidenziale. «Per qualsiasi membro del Parlamento sarebbe peggio di un suicidio politico». Un'opinione condivisa da Oleksandra Matviichuk, direttrice del Centro per le libertà civili di Kiev, premio Nobel per la Pace nel 2022: «Nessun presidente avrà mai l'autorità per riconoscere la Crimea invasa con la forza come parte della Russia».
Il fatto è che gli ucraini sono esausti dopo tre anni di guerra, ma non fino al punto da superare alcune linee rosse. E per capirlo, in mancanza di sondaggi delle ultime ore, bisogna rifarsi a quelli di qualche tempo fa. L'ultimo, pubblicato in questi giorni dalla rivista Foreign Affairs (e realizzato in gennaio con la collaborazione dell'Istituto internazionale di sociologia di Kiev) dice che il 63% degli interpellati è favorevole a continuare la guerra per salvaguardare l'integrità territoriale del Paese. Il 37% è disponibile a cessioni territoriali in Crimea e nelle regioni di Donetsk e Lugansk, in cambio però di garanzie sull'autonomia dell'Ucraina da Mosca. Proprio quelle garanzie che la «pax trumpiana» proposta da Washington in questi giorni non prende in considerazione, escludendo, anzi, che Kiev possa aderire alla Nato. Senza garanzie, la percentuale di chi accetta concessione territoriali scende al 30%. A Kiev e dintorni nessuno ha dunque dubbi sul fatto che una pace firmata sull'onda della necessità e della costrizione, verrebbe vista sul medio-lungo periodo come un imperdonabile tradimento. Come dimostra anche il procedimento avviato (per alto tradimento, appunto) contro i politici che negoziarono nel 2010 il prolungamento della concessione ai russi del porto di Sebastopoli per le loro basi navali. Un sì di Zelensky al piano di pace («Non posso firmarlo», «è contro la Costituzione», ha detto l'interessato) finirebbe per far precipitare il suo gradimento che in febbraio era ancora a un rispettabile 63%. Per il momento l'opposizione in Parlamento, guidata dall'ex presidente Petro Poroshenko, ha chiesto la convocazione di una sessione speciale in cui il presidente riferisca sui colloqui di pace.
Per tre ucraini su quattro la guerra contro la Russia ha una portata «esistenziale» e sul conflitto si gioca la sopravvivenza del Paese. E paradossalmente il miglior alleato degli ucraini che ancora si oppongono alla pace potrebbe essere Putin. Nonostante il portavoce Peskov, abbia detto che sulla Crimea le proposte americane «rispecchiano perfettamente le posizioni di Mosca», il pesantissimo bombardamento della notte scorsa su Kiev (il bilancio finale è di 12 morti) dimostra innanzitutto che il Cremlino non ha particolare fretta di concludere alcuna pace. Il meccanismo da economia di guerra attentamente messo a punto sembra funzionare, così come pare reggere il morale della popolazione.
A Washington Putin ha in questo momento interlocutori disponibili e attenti a tutti i temi che possono coinvolgere i rapporti tra i due Paesi (dalle relazioni con la Cina agli armamenti, dalle materie prime all'Artico). Su tutti questi fronti la Russia ha ben più da offrire della malcapitata Ucraina.
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