Non si parla più, le carte sono tutte in bella vista, Netanyahu ha parlato ieri sera in video coi suoi rappresentanti a Doha, ha incontrato i ministri Betzalel Smotrich e Itamar Ben Gvir che minacciano l'abbandono del governo, ha discusso fino a tardi con le famiglie degli ostaggi lo schema noto e ha parlato al telefono con gli americani di Biden e di Trump. Per lui il dado è tratto, ed è forse la decisione più difficile che abbia preso, più di attaccare Gaza, distruggere Hezbollah o entrare in Siria. Non è da lui, per cui la vittoria del popolo ebraico, specie dopo il 7 ottobre, è parte del Dna. Netanyahu adesso ha deciso che la strada della vittoria può entrare in pausa o almeno compie difficili evoluzioni. Il mondo pesa sulle sue spalle mentre ormai si discute nel mondo sul fatto che la sua scelta è quella di andare a un accordo duro, scivoloso, imperfetto, pericoloso, di cui per altro fino all'ultimo minuto rimane padrone Hamas, il cui assenso tutti aspettano ancora, sperando che arrivi nella notte da quelle case sbrecciate e piene di armi e di odio oltre che del cibo degli aiuti umanitario rubato alla propria gente.
Il sospetto logico è che si tratti di un'altra trappola che voglia imporre un cessate il fuoco immediato e un ritiro totale e subitaneo, senza stadi. Questo Bibi non lo accetterà: anche adesso i termini sono insoddisfacenti, la guerra non è finita, si seppelliscono soldati 19enni, 15 in una settimana, a Beit Hanoun e a Jabalia. Blinken accompagna il suo saluto dal ruolo che ricopre informando che Hamas ha ormai lo stesso numero di terroristi di cui disponeva prima della guerra. Netanyahu ha risposto alle accuse delle famiglie che dicono che deve accettare tutto subito e a quelle che invece lo spingono a combattere per piegare Hamas. Nessuna parte vuole gli stadi, sui 42 giorni della prima fase in cui si vede se funziona e si verifica che Hamas non consegni solo una fila di corpi senza vita, Netanyahu ha risposto che cerca un accordo onnicomprensivo. Ma si sa che Hamas è morto se consegna tutti, e semmai quindi saranno 33, contro migliaia di detenuti liberati e insieme la promessa di passare da 42 giorni in cui si comincia a consentire il passaggio dal Sud al Nord fino allo smantellamento dell'esercito che oggi protegge Israele da Hamas che appena potesse, compirebbe un'altra strage come quella della Nukba. Ma proprio qui è il punto: Hamas chiede di lasciarlo solo dentro Gaza a riorganizzare i suoi orrori. Trump, ripetute le minacce di «un inferno» se non si restituiscono i rapiti, ha detto, ed era un messaggio a Bibi, che l'accordo è fatto. Sembra prevalere un imperioso desiderio di imporre a Israele di sgombrare il tavolo prima del so ingresso alla Casa Bianca. Ma Netanyahu ha promesso di concludere con una completa vittoria, che comprende la fine di Hamas. Sia Trump sia Netanyahu sono sinceri: Bibi ha la distruzione dei nemici nel suo programma più irrinunciabile e pensa che senza distruggere l'Iran questo non potrà accadere. Dunque vuole che piuttosto che contro Hamas semidistrutto, Trump sia con Israele nella guerra vera, dichiarata dall'Iran contro il mondo occidentale.
Trump, nelle intenzioni e nei suoi uomini, difficilmente troverà spunti per abbandonare Israele, non lo contraddirà come Biden su Rafah, lo tzir Philadelpi, le armi, gli aiuti. Blinken intanto si fa vivo, rivendica il suo ruolo, annuncia che è pronto un suo piano per il domani di Gaza. Gli ostacoli aumentano: l'accordo incontra il divieto dei suoi alleati di governo, Smotrich e Ben Gvir, che gli ricordano che lo scambio per Gilad Shalit con 1.
027 terroristi liberò anche Sinwar. Forse Netanyahu ai suoi ministri per convincerli chiede a quattr'occhi se conoscono qualcuno deciso come lui a battere Hamas e l'Iran. Nessuno ha fatto tanto e con tanto successo. È un buon argomento.
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