È stato chiamato Enea come l'eroe mitologico cantato da Omero e da Virgilio. È un bel bimbo con i capelli neri di appena una settimana che la sua mamma ha affidato alla Culla per la Vita dell'ospedale Mangiagalli di Milano perché non può, o non desidera, crescerlo. La mattina di Pasqua lo ha avvolto in una copertina verde e lo ha portato in questo angolo riservato, con accanto una lettera. «Il piccolo è super sano, tutti gli esami fatti in ospedale sono ok» è il messaggio rivolto a chi se ne occuperà. Poi un: «Ti voglio bene ma non possiamo stare insieme» destinato a lui. A Enea che grazie a questo gesto diventerà grande, troverà una famiglia, avrà una vita. La madre avrebbe potuto abortire il suo bimbo non cercato e non voluto - sia andando in ospedale che passando prima dalla farmacia a procurarsi la pillola in libera vendita che promette lo stesso risultato a domicilio - ma ha scelto di farlo nascere. La Culla, versione moderna di quella che un tempo era la «ruota degli esposti», «è un ambiente protetto pensato per avvisare immediatamente il personale sanitario: una volta che il bimbo è sistemato all'interno, un allarme discreto avvisa medici e infermieri che possono prendersi cura del piccolo (per Enea l'allarme è suonato alle 11.40) - hanno riferito dall'ospedale - il bambino sta bene: è sano e monitorato. È nutrito con il latte delle donatrici che alimentano la banca del latte». Da oggi inizieranno le procedure che porteranno all'adozione di Enea. Dapprima il Tribunale dei minori affiderà la patria podestà al reparto ospedaliero, poi individuerà una famiglia per l'affido temporaneo e quindi verrà valutata l'adozione.
Fabio Mosca, direttore della Neonatologia e della Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico-Mangiagalli ha ricordato che «da quando la Culla per la vita è stata aperta nel 2007, è la terza volta che entra in funzione, nel 2012 con il piccolo Mario e nel 2016 con Giovanni». Mosca ricorda i nomi dei piccoli che vi sono stati lasciati. «Se da una parte la Culla per la vita è l'argine a soluzioni terribili, dall'altra la legge permette anche il parto in ospedale in anonimato, con la possibilità di dare alla luce un bambino e non riconoscerlo. Facoltà di cui comunque si avvalgono non più di una manciata di donne per anno», ha ricordato Mosca invitando a una riflessione sul caso del piccolo Enea. Nella lettera della madre, per il professore, non si rintracciano i sintomi di una depressione post partum. Sembrerebbe piuttosto che la mamma, una volta partorito il bambino e tornata a casa, abbia avuto un momento di ripensamento, dettato dalla volontà di assicurare al piccolo un futuro migliore di quello che gli avrebbe potuto garantire lei stessa, pur con tutto l'amore di una mamma. «Una madre che abbandona il figlio per questo motivo vive una difficoltà che non abbiamo colto e che, nella ricca Milano, dovrebbe farci riflettere» ha aggiunto Mosca. In ospedale è anche viva la speranza che la mamma di Enea possa tornare sui suoi passi: «Se vorrà ripensarci, in qualunque momento siamo pronti ad accoglierla, garantendo sicurezza e anonimato».
In serata è arrivato anche l'appello di Ezio Greggio: «Mi rivolgo alla mamma: torna, ti prego, aiuteremo Enea, ti daremo una mano, capisco che le difficoltà economiche ti fanno preoccupare ma ci metteremo in tanti a darti una mano. Enea si merita di averti».
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