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Quel precedente di Grillo jr. La Nuova Zelanda lo cacciò

Nel processo in corso in Sardegna spunta il caso del 2017: venne espulso per avances e minacce

Quel precedente di Grillo jr. La Nuova Zelanda lo cacciò

Certo, quella notte nessuno ha sentito nulla. Né la mamma, né la colf, né l'amica di famiglia che dormiva vicino. Certo, la vicina dice che la mattina dopo una delle ragazze che avevano passato la notte con Ciro Grillo e i suoi amici era a fumare sul patio della villa, in accappatoio, «e sembrava tranquilla». Ma a fare irruzione nell'udienza di ieri nel processo per stupro al figlio di Beppe Grillo e ai suoi tre amici è invece la chat che i difensori di una delle presunte vittime sottopongono a Pavin Tadjik, madre di Grillo junior. La chat racconta che il figlio del fondatore dei 5 Stelle non è il bravo ragazzo che i difensori cercano di accreditare. Perché già pochi anni prima Ciro dovette abbandonare precipitosamente dalla Nuova Zelanda, dove era in viaggio con la scuola, in seguito alle attenzioni inaccettabili che aveva rivolto alla giovane figlia di un docente. Ed è un precedente che rischia di pesare sul convincimento dei giudici chiamati a valutare quanto avvenne il 17 luglio 2019 nella casa dei Grillo in Costa Smeralda.

La Tadjik ha appena finito di rispondere alle domande del procuratore Gregorio Capasso, ribadendo di non avere sentito niente di strano, e di avere visto i ragazzi all'indomani del tutto tranquilli. Per il controesame va al banco Dario Romano, collega del difensore di parte civile Giulia Bongiorno. Il legale chiede conto alla Tadjk dei messaggi inviati nell'agosto 2017, quando il ragazzo è in vacanza-studio al McLeans college di Auckland. Ci sono i messaggi di Ciro agli amici, «cavoli durissimi in Nuova Zelanda». Dopo le pesanti avances alla ragazza, il giovane avrebbe anche minacciato i responsabili della scuola. «Hanno parlato anche di polizia. In Nuova Zelanda minacciare qualcuno è gravissimo», gli scrive la madre comunicandogli che deve immediatamente rientrare in Italia. «Ciro non c'è niente da fare, ti vogliono espellere con foglio di via, forse anche con la polizia se tu fai resistenza. A meno che tu non venga via di tua spontanea volontà, hanno già deciso che perderai il processo anche se tu ti scuserai o hai ragione».

Ieri di fronte alla contestazione del legale della vittima, lady Grillo prima cerca di negare, poi di minimizzare. Ma intanto la chat entra nelle carte del processo. È a quelle carte che fa riferimento l'avvocato Romano quando, uscendo dal processo a porte chiuse, spiega che «dall'udienza di oggi sono emerse forti contraddizioni» e di averle contestate, «anche con atti documentali». Quanto alle deposizioni ascoltate in aula, secondo cui dalla villa non arrivavano né grida né richieste di aiuto, «il fatto che i testimoni sentiti oggi non abbiano sentito nulla dice Romano - non ha alcuna rilevanza». «Non stiamo parlando - aggiunge il difensore della ragazza - di uno stupro avvenuto per strada, ma di una persona che non era neanche nelle condizioni di urlare».

Nel braccio di ferro tra versioni contrapposte, sarebbe stato disponibile - se le indagini fossero state condotte diversamente - un testimone elettronico e inoppugnabile. Poche ore dopo la notte di sesso - volontario o forzato - la ragazza milanese passò a Porto Cervo a comprare le sigarette al «Caffè degli artisti».

Era serena, come dicono i testi di ieri, o provata? Il barista, Ivano Carta, dice di non ricordarla. Il locale ha delle telecamere di sicurezza. Peccato che quando i pm mandarono i carabinieri a prelevare i file erano già stati cancellati. Per forza: dal presunto stupro erano passati due anni. Ma si può?

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