Alla fine il primo grande decreto economico targato Draghi ha visto la luce, ma la gestazione non è stata serena come ci aspettava, causa ritorno di fiamma dei partiti.
Il governo sarà pure «senza alcuna formula politica», Mattarella dixit, ma i soci della maggioranza non hanno rinunciato a farsi valere. Sul tavolo del Dl Sostegno Lega e Forza Italia giocano un carico pesante: la minaccia di disertare il Consiglio dei ministri. Il nodo è lo stesso fino all'ultimo: lo stralcio delle cartelle esattoriali. A muovere le obiezioni è il premier. Mario Draghi, che i numeri li maneggia, com'è noto, oppone rilievi tecnici, obietta sulle coperture. I ministri del centrodestra non cedono. Anche perché, paradossalmente, nel resto della coalizione nessuno dei partner fa barricate, eccetto Leu. A favore Italia viva, via libera anche dai 5 Stelle per bocca di Laura Castelli. Il Pd si muove sornione, vedendo che ci pensa Draghi a resistere con durezza. «La norma così protegge l'evasione», avrebbe detto il premier ai ministri del centrodestra. A Palazzo Chigi è braccio di ferro vero, tanto da far slittare il consiglio dei ministri a più riprese dalle 15 fino alle 18,30. Alla fine, l'attesa conferenza stampa scivola fino alle 20, appena in tempo per poter annunciare nei Tg il semaforo verde sul decreto con gli aiuti alle imprese.
Cinque ore di battaglia in cui emergono chiari gli schieramenti nella maggioranza. Nel Dl Sostegno alla fine c'è piazza pulita delle cartelle esattoriali preistoriche, cartaccia che ormai l'Agenzia delle entrate non ha più chance di incassare, da sempre un tabù vissuto con ipocrisia a sinistra. Lega e Forza Italia volevano lo stralcio sulle pendenze dal 2000 al 2015, alzando l'importo massimo a 5mila euro (e la Lega tenta anche un rilancio a diecimila). Di fronte alle resistenze di Draghi, a vertice già in corso, Salvini fa circolare una posizione intransigente e Forza Italia gioca a carte scoperte con una dichiarazione congiunta firmata da Antonio Tajani, Roberto Occhiuto e Mariastella Gelmini: «Riteniamo imprescindibile la cancellazione delle cartelle esattoriali almeno fino al 2015». Si alzano le barricate e alla fine tocca ai ministri del centrodestra mediare tra il premier e le rispettive segreterie per sbloccare la situazione. Draghi è riuscito comunque a imporre il limite del 2011, che annacqua la portata della rottamazione, visto che in dieci anni la prescrizione della maggior parte delle cartelle è pressoché sicura, e anche un tetto di 30mila euro dietro al quale molti leggono la pressione sotterranea del Pd, che infatti fa trapelare «soddisfazione». Ma nel centrodestra c'è anche chi è convinto che per Draghi abbia pesato una questione di immagine in ottica Quirinale. «Ha voluto evitare la polemica sui condoni nel suo primo provvedimento economico», dice un esponente del centrodestra. La sensazione è che il premier si sia dovuto destreggiare, tanto che nella conferenza stampa è lui rompere il tabù a sinistra parlando di «condono». Fdi non manca di sottolineare che è mini, ma intanto una bandiera è piantata. Arriva anche una contropartita: più fondi per la decontribuzione in agricoltura, cavallo di battaglia di Forza Italia salutato come un successo da Coldiretti, e nel turismo.
Gli ex giallorossi si spaccano come in epoca Conte: la ministra Elena Bonetti, spalleggiata dalla Gelmini, chiede di spostare il peso dell'aiuto alle famiglie sull'assegno unico, cavallo di battaglia di Italia viva. Ma sui due sussidi contiani, reddito di cittadinanza e di emergenza, fa da scudo umano il ministro Orlando. Le due ministre fanno fronte comune anche sull'estensione del magro bonus baby sitter e sul sostegno alle paritarie, assente dal testo. Ma pure su questo punto il Pd fa melina. Infine pressing di Bonetti e Bianchi sulla riapertura delle scuole anche in zona rossa.
Il vero bilancio però è
politico: ora Draghi sa che gli equilibri nella maggioranza vanno conquistati un metro alla volta. La battaglia si riproporrà alle Camere. Tanto che la Lega parla già di «impegno per una più ampia pace fiscale entro aprile».
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